Nel "Paese dei Coppoloni" di Vinicio Capossela: l'Archeologia dell'Essenza
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ROMA, 15 APRILE 2015 - La civiltà contadina, il tempo e le stagioni dell’esistenza, la menzogna della realtà, la verità dell’immaginazione, le donne petrose a cui gli uomini consegnano le chiavi del loro recinto; c’è la vita e la morte e troppo altro ancora da scoprire nel nuovo romanzo di Vinicio Capossela <<Il Paese dei Coppoloni>> presentato a Roma per i Narratori di Feltrinelli, martedì 14 aprile in via Appia Nuova, in un amabile incontro di un pomeriggio della primavera romana, in cui il poeta musico si è intrattenuto, in compagnia di Goffredo Fofi e Alberto Rollo e di un vasto pubblico, per promuoverne il lancio di un libro candidato al Premio Strega 2015.
In un prevedibile bagno di folla, con un pubblico di lettori e fans, Il viandante-lettore ha misurato, insieme al narratore-autore, un patrimonio di saggezza ed evocazioni letterarie, che hanno dato corso a riflessioni e suggestioni godibilissime, che hanno estrinsecano la saggezza e ricchezza interiore dell’artista e quelle del poeta-letterato. Un insolito Vinicio elegante sorseggiatore di the, autore non nuovo a fatiche letterarie, è stato protagonista di un perfetto riuscito connubio di musica e musicanti, in cui la poesia e le più belle immagini, tratte dalle terre dei padri, rivelano il potere evocativo e rigenerante di eternizzare l’essenza e far rivivere tra le pagine lette - regalate dallo stesso autore al suo pubblico - la giusta accattivante l’intonazione. L’Emozione della lettura fonde musicalità e verso, lingua e immagini, attraverso i volti e i nomi di protagonisti immersi in un paesaggio umano e geografico che è al tempo stesso sintesi di noto e ignoto. [MORE]
L’autenticità trasformata in essenza della semplicità è ricercata sintesi di bellezza e perfezione, popolata di uomini dalle mani grandi e ruvide che percorrono sentieri e strade delle direzioni a sud. Un incontro evocativo che cerca nel passato i misteri e gli splendori, l’opacità del caos interiore di individui raminghi –emigrati o migranti- i quali procedono con il passo dell’iniziato e lo sguardo affilato, nella ricostruzione di una memoria che si popola di storie e di vite, ieri come oggi, che perseguita e condanna. Ci sono le storie ruvide, le vesti di figure portatrici di destini, sono quelle della gente di tutti i sud del mondo, in cui si disegnano i non luoghi delle periferie interiori. Le storie di emigrazioni che si sciolgono in lamenti e musiche, in poesie e paesaggi poetici, al tempo stesso disperate e rassegnate all’assenza, nei quali si lavano sofferenze e sudori di ciascun viaggio epico, che mescola la scoperta e la fatica del noto e dell’ignoto, nella bellezza dell’essenzialità.
La vita allora si sgrana, passa dentro o sopra ciascun individuo e sfiora nella poesia di uno, cento, mille respiri, le forme del sogno; quello che non sporca né imbratta gli anfratti del cuore, non compromette né crea disagio, ma riscalda e fortifica, fa passare la notte col vino e le parole, e rinsalda il legame profondo e sacro con le proprie origini. La terra, l’acqua il fuoco e la fatica di ogni uomo diventa metafora di sudore e vita, trasformata catarticamente in Storia: ha senso solo se mette in circolo e rigenera memoria.
Angela Maria Spina