Cronaca

'Ndrangheta: pizzo su terreni. Colpito clan Pesce, 53 arresti. Coinvolti anche colletti bianchi

'Ndrangheta: 'signoria' cosca, pizzo anche su terreni. Colpito clan Pesce, 53 arresti. Coinvolti anche colletti bianchi
REGGIO CALABRIA, 20 APR - Dagli appalti nel porto di Gioia Tauro al pizzo chiesto ai cittadini che volevano semplicemente vendere un terreno. La cosca Pesce a Rosarno controllava tutto.

Una ulteriore conferma alla pressione esercitata dal clan sulla cittadina della costa tirrenica è giunta dall'operazione "Handover-Pecunia Olet", condotta dalla Squadra mobile, dal Ros dei carabinieri e dal Gico della Guardia di finanza con il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria: 44 persone sono finite in carcere e 9 ai domiciliari, accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, detenzione, porto e ricettazione illegale di armi, estorsioni, favoreggiamento personale, aggravati dalla circostanza del metodo e dell'agevolazione mafiosa, nonché per traffico e cessione di sostanze stupefacenti. Indagati in stato di libertà anche tre poliziotti.

Coordinate dal procuratore Giovanni Bombardieri, dall'aggiunto Gaetano Paci e dai pm Francesco Ponzetta, Paola D'Ambrosio e Adriana Sciglio, le indagini hanno portato al sequestro di una cooperativa agricola e un'impresa individuale per un valore stimato di oltre 8,5 milioni di euro.  

L'inchiesta ha disarticolato le proiezioni della cosca, sia sul fronte delle attività tipicamente criminali connesse alla gestione del traffico di droga, alle estorsioni ed al "controllo" delle commesse di lavori gestite dalla Autorità portuale di Gioia Tauro, sia sul fronte economico-imprenditoriale, destrutturando la gestione monopolistica del settore della grande distribuzione alimentare. Tra gli arrestati c'è anche un professionista, il commercialista Tiberio Sorrenti, considerato il mediatore tra la 'ndrangheta e gli imprenditori taglieggiati o disposti, secondo la Dda, a stringere accordi collusivi con la cosca Pesce.

Tra questi l'imprenditore Rocco Cambria, di Milazzo, indagato per aver fornito "in qualità di amministratore legale della 'F.lli Cambria S.p.A.', un contributo causalmente diretto alla conservazione o al rafforzamento" della famiglia mafiosa. È accusato di associazione mafiosa, invece, Sorrenti che, secondo i pm, "si prestava alla tenuta delle scritture contabili alle ditte fittiziamente intestate a terzi soggetti, ma riconducibili alla cosca Pesce", "metteva a disposizione il proprio studio quale luogo privilegiato di incontro per affrontare questioni di interesse della cosca". L'operazione è il seguito delle indagini che portarono alla cattura dei latitanti Marcello e Antonino Pesce detto "Materassino".

Gli investigatori sono riusciti anche a dimostrare la capacità della famiglia di riorganizzarsi dopo le operazioni di polizia che l'hanno colpita. Anche sulla proprietà privata la cosca aveva le sue pretese. Il territorio di Rosarno di fatto era sotto la "signoria" dei Pesce che, assieme ai Bellocco e ai Piromalli, imponevano mille euro all'anno di pizzo ai proprietari dei terreni.

Chi lo voleva vendere avrebbe dovuto versare 10mila euro. I Pesce avevano anche puntato le loro mire sui lavori effettuati nell'area portuale per la costruzione di un capannone industriale e la realizzazione di un terminal intermodale. Lavori che venivano in parte poi espletati, in regime di sub appalto, da altre ditte, alcune delle quali sostanzialmente imposte dalle cosche Pesce e Piromalli che le costringevano a pagare il pizzo.