Cronaca

Ndrangheta: arresto agenti carcere, detenuti potevano riunirsi, ricevere alcolici e altro

COSENZA, 19 GIUGNO - Piena libertà di manovra per i detenuti, soprattutto per quelli di maggiore caratura: é la condizione di favore di cui potevano beneficiare alcuni reclusi del carcere di Cosenza grazie ai benefici che gli venivano riservati dai due agenti di polizia penitenziaria che sono stati arrestati dai carabinieri. In particolare, secondo quanto riferisce la Dda di Catanzaro, dall'inchiesta é emerso che i detenuti di maggiore caratura potevano riunirsi tutti insieme nelle celle, malgrado fossero sottoposti a diverso regime carcerario e ricevere stupefacenti, alcolici, generi alimentari o altri prodotti utili a rendere più confortevole la loro detenzione. O, ancora, non essere sottoposti a perquisizioni o ricevere preventive informazioni sulle attività di verifica pianificate nei loro confronti. 
Aggiornamento
Più che un carcere, la casa circondariale di Cosenza era diventata una sorta di albergo per alcuni dei detenuti, quelli più autorevoli ed influenti sul piano criminale, che vi erano ristretti. L'unica cosa che non si poteva fare era uscire, ma per il resto poteva accadere veramente di tutto all'interno del carcere che fu diretto da Sergio Cosmai, ucciso dalla 'ndrangheta nel 1985 per vendetta proprio per il rigore con cui faceva applicare leggi e regolamenti. É proprio la memoria di Cosmai, del suo essere senza alcun tentennamento "uomo dello Stato", al punto di subire la reazione dei boss ai quali dava fastidio per il suo senso del rispetto delle regole, che offendono i fatti scoperti dall'indagine condotta dai carabinieri sotto le direttive della Dda di Catanzaro che ha portato all'arresto di due agenti della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Cosenza, Luigi Frassanito, di 56 anni, e Giovanni Porco, di 53, accusati di concorso esterno in associazione mafiosa.

L'aspetto in un certo senso più significativo di questa inchiesta lo ha messo in luce, in conferenza stampa, il Procuratore distrettuale di Catanzaro, Nicola Gratteri. "Questo lavoro - ha detto - poteva essere svolto tanti anni fa. Questa indagine, infatti, fa parte di quel pacchetto di inchieste ferme, dimenticate, alle quali nessuno aveva messo più mano, sui fatti gravissimi avvenuti all'interno del carcere di Cosenza". In cambio di denaro Frassaniti e Porco, stando all'accusa che gli viene contestata, si erano permanentemente posti a disposizione delle consorterie mafiose, garantendo ai detenuti di poter continuare ad avere contatti con l'esterno, ed in particolare, con i sodali liberi. 

Secondo quanto ha riferito il comandante provinciale di Cosenza dei carabinieri, colonnello Pietro Sutera, alcuni esponenti di spicco delle cosche cosentine, come i "Lanzino-Ruà-Patitucci", i "Bruni-Zingari" e "Rango-Zingari" venivano volutamente ristretti in celle che affacciavano sulla strada in modo da consentirgli di impartire ordini all'esterno attraverso persone appostate sotto il carcere. In tal modo sarebbero stati veicolati all'esterno messaggi, anche mediante 'pizzini', per sviare le indagini in corso su omicidi o impartire disposizioni sugli imprenditori da mettere sotto estorsione.

All'interno del carcere, poi, ai boss più influenti poteva arrivare sottobanco di tutto: stupefacenti, alcolici, generi alimentari e tutto ciò che poteva servire a rendere più confortevole la detenzione. E gli agenti che facevano il dovere, com'é successo in alcuni casi, hanno subito rappresaglie per il loro rifiuto a farsi coinvolgere negli affari illeciti.