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Nba, Dallas conquista il titolo

Maurizio Grimaldi
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Nba, Dallas conquista il titolo
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 14 GIUGNO 2011 - Per la prima volta nella storia della Nba, tutta l’America cestistica si inchina volentieri ai piedi di un tedesco.

Si tratta di Dirk Nowitzki, fuoriclasse nato a Wuzburg e adottato da tempo dal Texas.

WunderDirk è riuscito nell’impresa di vendicare quell’anello sfuggitogli nel 2006, a pochi metri dal traguardo, proprio contro i Miami (allora del solo ma decisivo Dwyne Wade): dei vecchi Dallas erano rimasti solo il tedesco e l’amico-nemico Jason Terry (sempre enigmatico il rapporto fra i due campioni, troppo diversi per diventare complici, ma troppo forti per lasciarsi sfuggire l’opportunità di una storica rivincita).[MORE]

Entrambi hanno vissuto questi ultimi cinque anni con l’incubo di una sconfitta bruciante, arrivata dopo il 2-0 nella serie e un vantaggio di oltre 15 punti nella terza gara, poi girata a favore dei Miami, trascinati da un leggendario Wade, che di lì in poi non si sono più fermati, vincendone quattro di fila e aggiudicandosi l’anello in rimonta.

Stavolta il 4-2 lo ha rifilato Dallas a Miami, vincendo la gara decisiva proprio sul parquet ostile dell’American Airlines Arena.

E lo ha fatto giocando da squadra: con la difesa energica di Tyson Chandler, la regia del mai domo Jason Kidd (38 anni e non sentirli: mirabile il lavoro svolto in marcatura su due attaccanti come Lebron James e lo stesso Wade), le scorribande di J.J. Barea, il portoricano di 1,75cm, che tra i giganti dell’Nba viene spesso scambiato per un bambino che ha perso la mamma, ma che ha tanto orgoglio da riuscire a conquistarsi il quintetto titolare proprio durante la serie decisiva. E infine, giunti al quarto quarto, quando la palla pesa il doppio, i compagni potevano sempre contare sui canestri decisivi del tedesco e del Jet, quel Jason Terry che a inizio stagione si era fatto tatuare sul bicipite il Larry O'Brien Trophy, a dispetto di qualsiasi scaramanzia: evidentemente era destino che i Mavs arrivassero al titolo quest’anno, e forse un segnale si era già percepito con lo storico 4-0 imbastito contro i campioni uscenti dei Lakers.

Ma questa è anche la vittoria di coach Rick Carlisle, uno che le allena per davvero le sue squadre (parlando di qualità di gioco, non c’è mai stato paragone con i rivali della finale), e del burbero proprietario Mark Cuban, che ha sempre creduto nel suo progetto, nei suoi uomini e soprattutto nel tedescone di Wuzburg.

Infine, la riflessione sui vinti ci consente di avventurarci in un’analisi più profonda sull’etica dello sport: la parabola di WunderDirk rappresenta la storia di chi ha sempre dovuto lottare per guadagnarsi il rispetto, dei compagni prima ancora che degli avversari. A 33 anni, dopo 13 anni di Nba, oggi, con estremo ritardo, Nowitzki è finalmente riconosciuto come uno dei più grandi cestisti di tutti i tempi: si sa che lo sport rispetta solo i vincenti, ma lui un campione lo è sempre stato perché non ha mai smesso di allenare le sue qualità, non si è mai sentito arrivato prima del tempo; e adesso può infine godersi il frutto di tanta abnegazione.

Dall’altra parte invece abbiamo il sogno spezzato dell’eroe americano che si elegge a prescelto prima ancora di scendere fra i big: quel Lebron James che si sente re della Lega, pur essendo un sovrano senza trono, e che l’estate scorsa si è attirato le antipatie e le critiche di mezzo mondo per la buffonata sul suo nuovo contratto, stile reality show.

Era venuto a Miami per vincere, ma ha perso di nuovo, e lo ha fatto nel peggiore dei modi, mancando proprio nei momenti decisivi della finale (non leggete le cifre, troppo spesso bugiarde).

Nessuno mette in dubbio il suo talento, ma è evidente che il ragazzo non è ancora in grado di gestire la pressione. E forse mai riuscirà a farsi incoronare finchè manterrà questa irritante presunzione di aver già imparato tutto quello che c’era da apprendere su questo meraviglioso sport che è il basket. WunderDirk docet.

 

Maurizio Grimaldi


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Scritto da Maurizio Grimaldi

Giornalista di InfoOggi

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