Politica

Napolitano, morti sul lavoro: «Drammatica piaga sociale»

ROMA, 13 OTTOBRE 2013 – «In occasione della 63/ma giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro - rivolgo il mio omaggio alla memoria dei caduti ed esprimo la mia vicinanza a quanti hanno perduto salute e integrità fisica nei luoghi di lavoro», è quanto si legge su un telegramma inviato dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, all'Anmil (Associazione Nazionale Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro), rispondendo così all’invito che gli era stato rivolto, al fine di presiedere alla suddetta manifestazione

«Abbiamo invitato anche il Capo dello Stato, che per l’edizione dello scorso anno ci ha ospitato in Quirinale e saremmo più che onorati se potesse essere presente in questa giornata accanto a tutte le vittime del lavoro che saranno in Campidoglio. Sapete bene che, in questi anni, la sua voce autorevole è stata fondamentale e non è mai mancata per richiamarci ad una maggiore attenzione alla sicurezza nei luoghi di lavoro e dunque speriamo di sentirla anche domenica prossima per non lasciarci soli», così ha affermato il Presidente Bettoni alla vigilia di questa giornata particolare. [MORE]

Il sopraindicato telegramma di Napolitano, continua sottolineando che: «L'andamento decrescente del drammatico fenomeno degli infortuni sul lavoro, soprattutto in termini di perdita di vite umane, non deve far abbassare la guardia su quella che continua a rappresentare una drammatica piaga sociale. Come ho più volte sottolineato, l'andamento decrescente del drammatico fenomeno degli infortuni sul lavoro, soprattutto in termini di perdita di vite umane, non deve far abbassare la guardia su quella che continua a rappresentare una drammatica piaga sociale. Il recente gravissimo incidente di Lamezia Terme con la morte di tre operai in un silos, ne è drammatica conferma. E desta particolare inquietudine l'entità degli infortuni tra i lavoratori stranieri».

Infine, conclude Napolitano: «Apprezzo quindi il vostro impegno nel promuovere una forte cultura della sicurezza e della prevenzione per il rispetto delle regole poste a tutela dell'incolumità sul posto del lavoro e in difesa della vita e della dignità di tutti i lavoratori, valori essenziali garantiti dalla nostra Costituzione. Con questo spirito, rivolgo il mio partecipe saluto a Lei presidente Bettoni, ai mutilati, agli invalidi e ai familiari delle vittime sul lavoro che in questa giornata particolare ricordano il sacrificio dei loro cari tragicamente scomparsi».

Ciò è un atto dovuto perché, come evidenzia con un tono di amarezza l’Anmil: «Il fenomeno degli infortuni sul lavoro e ancor più quello delle malattie professionali restano purtroppo relegati in poche righe nelle pagine delle cronache locali. Eppure nel 2012 si sono ancora contati quasi 900 morti sul lavoro e sono stati denunciati 750.000 infortuni che hanno dato luogo a 40.000 invalidità permanenti; mentre sul fronte delle malattie professionali ancor più drammatico e sconosciuto, sono deceduti 396 lavoratori per malattie denunciate nel solo 2012, ai quali ne vanno aggiunti altri 1.187 per malattie professionali denunciate in anni precedenti, e il riconoscimento di oltre 17.000 casi di malattie professionali, anche se va detto che negli anni l’INAIL abbia registrato un trend moderatamente decrescente che, però, va tarato con la grave crisi occupazionale che stiamo vivendo».

Infatti, come giustamente sottolinea l’Associazione, il fatto che si è assistito ad una lieve diminuzione del numero delle morti, ciò è da imputare anche allo stato di disoccupazione contingente, una sorta di correlazione diretta tra disoccupazione e infortuni sul lavoro: meno persone lavorano e meno persone sono esposte ad infortuni e morti sul lavoro. Ma, questo dato è drammaticamente destinato ad aumentare se si pensa a tutti coloro che, in questi anni di crisi profonda, presi dalla disperazione, hanno deciso di compiere un gesto estremo.

È vero, le morti sul lavoro sono una piaga sociale, così come lo è uccidersi per la disperazione di non averne uno. Entrambi i casi non sono degni di un Paese democratico, «fondato sul lavoro».

(Fonte: Ansa)

Rosy Merola