Politica
Napolitano, in Italia politica rissosa e incolta
- New York, 30 mar. - Due poltrone color zafferano, la bandiera italiana e quella americana sullo sfondo, al centro del palcoscenico una teca di vetro dove brilla una fiamma non si sa quanto naturale: sono quelle che nelle universita' americane chiamano "fireside chats", chiacchierate al camino.
Come quelle che Giorgio Napolitano venne a fare negli Stati Uniti nel 1978, e che tanto vollero dire per lui e per la sinistra italiana. Oggi il Capo dello Stato replica la formula di fronte a 450 tra studenti e docenti della New York University, ateneo prestigioso che lo gratifica di una medaglia speciale e vuole da lui una chiacchierata su tutto: l'Italia, la Libia, gli immigrati, l'Europa. [MORE]Su lui stesso, infine, persino sul rapporto con suo padre. "Era un liberale, di buona famiglia come del resto anche mia madre, che durante il fascismo non aveva aderito al regime senza pero' militare tra gli antifascisti", racconta lui ricordando le bombe che cadevano su Napoli nel '43, "sulle prime non approvava le mie scelte politiche". Scelte che maturarono presto, e alle quali non fu certo estranea la lettura di Gramsci. Era il teorico degli intellettuali organici, e tuttora e' il pensatore italiano del Novecento piu' studiato Oltreoceano. Napolitano lo rammenta prima di fare una prima considerazione generale, ma di stretta attualita'. "Penso che uno dei grandi problemi in Italia, attualmente, sia il profondo iato tra la politica e la cultura", spiega infatti, per la gioia del Professor Weiler che, seduto sulla poltrona di fronte alla sua, lo pungola a nome di tutti i presenti. E' il primo spunto per arrivare a dire, piu' tardi, cosa ne pensi dello stato della politica nazionale, e non solo di quella.Per il momento pero' il Presidente della Repubblica incassa, non senza un sorriso, i complimenti dell'interlocutore. Weiler lo definisce il "rappresentante del meglio dell'Italia". Risponde in inglese, lingua che ha adoperato quasi in ogni momento di questa sua terza visita americana, per soffermarsi sul deficit di democrazia nell'Unione Europea e della crisi libica. "Penso che sia stata fatta la scelta giusta" con l'intervento, sottolinea riferendosi al confronto con Gheddafi, "e' presto per poter dire se l'azione sia stata condotta correttamente". Lo strale arriva per la Germania, che si e' disimpegnata fin dall'inizio: "Non capisco molto bene la decisione del cancelliere Merkel".
Sara' perche' aveva le elezioni regionali? "E' uno dei problemi della politica in Europa, quello di essere condizionati dalle elezioni che si svolgono in continuazione nei diversi paesi.
Sono i politici che dovrebbero guidare i cittadini, non loro ad essere guidati dai sondaggi d'opinione". Quanto agli immigrati "il problema non e' solo italiano, ma di tutta l'Europa". Viene quindi il momento che il professor Weiler, che presiede l'Istituto Jean Monnet della New York Univesity, forse attendeva fin dall'inizio. "Da noi, all'universita', c'e' un'usanza", inizia mellifluo, "questa: quando un docente fa una domanda ad uno studente, questi ha la possibilita' di non rispondere per una volta senza che ci siano conseguenze. Basta che dica 'passo'. Bene, Presidente, lei adesso puo' rispondermi 'passo'. La domanda e' sulla politica italiana". E giu' che cita i guai giudiziari di Silvio Berlusconi, i decreti rinviati al mittente dal Colle, persino le tensioni che hanno accompagnato la nomina di alcuni ministri. "Non e' un momento facile per me e per il mio paese", replica Napolitano, che non passa, "non faccio commenti sulle singole persone". Parla, premette, in "termini generali". "Quel che e' peggio per me e' la presenza di un fenomeno che in letteratura si definisce 'hyperpartisanship'". Si tratta dell'eccesso di partigianeria e faziosita' in politica. Per cui "non esiste piu' una normale dialettica, ma si assiste ad una guerriglia quotidiana. Nessuno ascolta l'altro, non c'e' piu' dialogo". E questa politica cosi' incolta e turbolenta produce "un grave indebolimento del nostro prestigio nel mondo". Eppure i recenti festeggiamenti per i 150 anni dell'Unita' d'Italia hanno fatto emergere "un entusiasmo, una partecipazione, che rafforzano il nostro senso di missione e unita' nazionale". In mezzo a cotanta confusione il Quirinale si muove "sottolineando tutto cio' che unisce l'Italia, e non la divide". E magari ogni tanto si nota che "c'e' qualche risultato". "Il mio", dice ancora accademico Napolitano, citando Benjamin Constant, "e' un potere neutro che viene esercitato allo scopo di garantire la Costituzione e l'equilibrio tra i poteri". Ecco perche', quando la Costituzione lo richiede, qualche decreto non prende la via della Gazzetta Ufficiale, ma riprende quella di Palazzo Chigi.
"I decreti nel nostro ordinamento sono eccezioni" rispetto alle leggi, del resto (e qui la critica all'eccesso della decretazione d'urgenza e' palese). Poi pero' bisogna considerare anche che "il Presidente del Consiglio rappresenta la maggioranza parlamentare" e ci sono pertanto casi in cui "non si puo' obiettare piu' di tanto". Quanto alla nomina dei ministri, Napolitano riferisce che al premier si puo' "dare qualche consiglio, ma se lui insiste non si puo' far altro che dirgli 'la responsabilita' e' tua'. Solleva ripensare al passato. E' vero, ci furono momenti terribili come quello del terrorismo, ma anche per Napolitano giornate di grande soddisfazione, ogni volta che la Repubblica adottava nuove norme di giustizia sociale. E' il caso dello Statuto dei Lavoratori, ma anche quello della nazionalizzazione del sistema di erogazione dell'energia elettrica, nel lontano 1967.
Battaglie della sinistra. "Una sinistra che lei ha contribuito a democraticizzare", lo pungola ancora l'interlocutore americano, "un processo che comunque e' stato lento". "E la sinistra ritengo stia ancora pagando il prezzo di tanta lentezza", replica lui. Ad ogni modo il Capo dello Stato "e' fuori" dagli schieramenti, anche da quello da cui proviene. E ribadisce: quello che ci vuole e' una vera dialettica tra le forze politiche. Infatti "in democrazia e' necessario un governo forte quanto una forte opposizione". E le opposizioni sono forti? "Talvolta direi che non lo sono abbastanza".