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"Morti bianche" - mostra d'arte contemporanea di Gianluca Leva
BERGAMO, 31 MAGGIO 2013- Il bianco che pervade tutte le opere e che colpisce istantaneamente l’occhio palesa con estrema trasparenza espressiva il tema col quale l’artista, Gianluca Leva, ha scelto di misurarsi nella sua ultima mostra, dedicata alle morti sul lavoro, cui spesso si fa eufemisticamente riferimento con la definizione di “Morti bianche” che dà il titolo all’esposizione. L'inaugurazione ha avuto luogo Sabato 18 Maggio a Bergamo, in via G.B. Moroni 16/a, nell'ambito della rassegna di arte contemporanea ARTDATE 2013, e proseguirà fino a Sabato 15 Giugno.[MORE]
Il titolo della mostra è evocativo: “bianco” è un aggettivo che evoca l’ineluttabilità e l’innocenza di queste morti, quasi a cercare di lenire la loro tragicità e di trovarvi un senso. Nel caso degli incidenti mortali sul lavoro l’espressione “morti bianche” e l’immaginario emotivo da essa evocato sembrano, tuttavia, sterilizzare tali morti, e ripulirle delle colpe e delle responsabilità da cui dipendono e che nella maggior parte dei casi vanno ben oltre la fatalità e la fallibilità umana. Dall’amaro confronto tra due realtà di lutto accomunate nel linguaggio ma fra loro sostanzialmente diverse emerge un sentimento di bruciante e rabbiosa ingiustizia di fronte alla consapevolezza dell’esistenza di un tragico discrimine tra ciò che può e ciò che non può essere evitato.
L’efficacia espressiva con cui Gianluca Leva è riuscito a sviscerare la tragedia delle morti sul lavoro, componendo nelle sue opere emotività e crudo realismo, dimostra quanto la voce muta dell’arte possa rivelarsi più incisiva, più autentica e più coraggiosa nel suo apparente silenzio delle molte parole talvolta riduttive o inadeguate che vengono spese intorno a questo tema.
Il bianco immerge le opere dell’artista in un silenzio che non è solo il silenzio rispettoso del lutto, ma è anche lo sgomento afono di fronte alla fine tanto innocente quanto colpevole di chi esce di casa in un giorno qualunque per andare a lavoro e non vi fa più ritorno. Le pennellate e le gocce di pittura rossa che attraversano le tele squarciandone la superficie bianca obbligano, tuttavia, l’osservatore a risvegliarsi da questo sgomento per fare i conti con una realtà di sangue e di carni umane straziate. Ad alcuni dipinti l’artista ha, infatti, applicato quelli che si presentano come agglomerati di plastica rossa fusa in filamenti contorti: tali elementi sembrano assumere le fattezze di cuori o di brandelli umani, esposti senza riparo al mondo esterno o intrappolati sotto reti velate che trasmettono un senso di oppressione e soffocamento.
La scelta di Gianluca Leva sembra essere stata quella di servirsi di pochi elementi simbolici, ottenendo da un lato l’effetto di un’apparente semplicità e immediatezza comunicativa, e allo stesso tempo conferendo a ciascuno di essi una risonanza vibrante che ne dispiega tutte le potenzialità evocative. Prima ancora che nella tragedia, messa in scena attraverso il contrasto cromatico bianco-rosso, il lavoro è rappresentato nella sua quotidianità: di questa quotidianità, che all’improvviso può rivoltarsi nello spazio di pochi istanti contro chi la vive giorno dopo giorno, l’artista ha portato direttamente sulle tele alcuni materiali immediatamente identificabili, come nell’opera nella quale campeggia una tuta da lavoro, da cui gronda verso il basso una striscia di colore rosso. Un altro elemento che ricorre in più quadri è quello numerico, che evoca la serialità non solo della routine e dei suoi gesti ripetitivi, ma soprattutto delle perdite e degli incidenti, che si susseguono ad un ritmo talmente incalzante, da fare della morte una componente ordinaria e della singola vittima l’ennesimo protagonista di un copione sempre uguale. È proprio avvalendosi di un mezzo alfanumerico, il suo codice fiscale, che l’artista si è introdotto in prima persona nella propria opera, mostrando di sentirsi parte di questa serialità in cui la persona diviene unità indistinta e numero.
Nella mostra di Gianluca Leva il tema delle morti sul lavoro assume, dunque, numerose sfaccettature; la componente emotiva coesiste e si intreccia con il realismo, e l’esposizione trasmette un sentimento tanto di partecipazione umana quanto di rabbiosa denuncia. Le opere si compongono di immagini immediate per evolversi in stratificazioni di contenuti e di significati, con una semplicità che si fa complessa senza mai scadere nella retorica. Il risultato è un lavoro pregevole e incisivo, sia dal punto di vista artistico che da quello comunicativo, un contributo evidentemente frutto di una ricerca e di una riflessione personali che hanno portato a un esito altrettanto personale nel dar voce ai corpi e ai sentimenti di chi sul lavoro ha perso entrambi.
Info: http://www.viamoronisedici.it/mostre/38_leva.pdf
Valeria Saccani e Cristina Rendina