Salute
Morbo di Alzheimer: alla ricerca di un metodo rapido e sicuro per la diagnosi precoce
MATERA, 28 MARZO 2014 - E’ diventata un’emergenza sanitaria la malattia neurodegenerativa che oggi affligge circa 35 milioni di malati nel mondo, il morbo di Alzheimer. Secondo alcuni studi si prevede che tale malattia è in netta crescita e rischia di diventarlo ancora di più. Le previsioni fornirebbero dati preoccupanti, i malati, infatti, raddoppieranno entro quindici anni, fino a diventare 115 milioni nel 2050.
Si cerca, dunque, attraverso la costante ricerca, divenuta ormai una sfida, di trovare una cura, ma soprattutto un metodo rapido e sicuro per diagnosticare la malattia ancor prima dei sintomi quali la perdita della memoria e disturbi cognitivi di vario tipo. I ricercatori sono sempre più convinti che somministrando i farmaci, attualmente di scarsa efficacia, nelle sperimentazioni cliniche sui pazienti, si abbiano maggiori possibilità di miglioramento prima che la malattia sia conclamata.
Diagnosticare la malattia è possibile grazie alla presenza di diversi “biomarcatori” già noti del morbo di Alzheimer. Secondo una ricerca effettuata da studiosi del Georgetown University Medical Center a Washington è stato creato un test facile e poco costoso per individuare nel sangue alcune sostanze che segnalerebbero l’eventuale presenza della malattia. Le analisi utilizzate attualmente per ricercare la malattia sono invasive ed inoltre richiedono il prelievo del liquido cerebrospinale tramite una puntura lombare piuttosto costose. Per il nuovo test basterebbe, invece, un prelievo di sangue. [MORE]
La presenza nel sangue di un set di dieci composti lipidici, scoperti dai ricercatori, sarebbero il segnale che vi è la fortissima probabilità di sviluppare nei due, tre anni successivi alla diagnosi, una forma di demenza o il morbo di Alzheimer. La ricerca è stata effettuata attraverso l’esame su 525 ultrasettantenni, privi della malattia, e si è riuscito ad individuare con un’accuratezza del 90%, quelli che si sarebbero ammalati. Attraverso il test si ricercano, infatti, particolari componenti della membrana cellulare che secondo i ricercatori segnalerebbero le degenerazioni dei neuroni che precedono i sintomi della demenza.
Sulla diagnosi ed il monitoraggio della malattia con i biomarcatori, sono state effettuate, inoltre, varie ricerche. Tra queste quella pubblicata su Science Translational Medicine, di Anne Fagan ed i colleghi della Washington University School of Medicine a Saint Louis. Questi studiosi avrebbero scoperto qualcosa di inaspettato durante lo studio dell’andamento nel tempo del morbo grazie a due dei biomarcatori più conosciuti e usati, la proteina beta amiloide e la proteina tau.
La teoria più accreditata è che, il segno più caratteristico del morbo, nelle persone che iniziano a mostrare i primi sintomi della malattia, è il basso livello di beta amiloide in quanto la proteina è trattenuta dalle placche che si formano nel cervello di chi si ammala. Si mostrerebbe elevato, invece, il livello della proteina tau che è il segno che i neuroni iniziano a morire e la rilasciano nel liquido cerebrospinale.
Nel corso di alcuni anni, attraverso la raccolta di campioni di fluido di oltre duecento volontari affetti da una mutazione che provoca una forma precoce di Alzheimer, i ricercatori hanno scoperto qualcosa di diverso: con la comparsa dei sintomi la proteina tau aumentava all’inizio della malattia, mentre diminuiva una volta che i sintomi si erano manifestati (mentre la beta amiloide diminuiva secondo le aspettative).
Da tali studi si è potuto comprendere come i biomarcatori non sono fissi, ma variano nel tempo a seconda dello stadio della malattia. Non è dunque sufficiente una sola misurazione per avere un’idea precisa di come sta evolvendo il morbo. Comprendere il motivo per cui vi siano queste variazioni è essenziale per lo sviluppo di nuovi farmaci efficaci.
(Fonte Focus)
Elisa Signoretti