Societa'
Mons. Vincenzo Bertolone Omelia Venerdi' Santo
CATANZARO, 25 MARZO 2016 - Pubblichiamo in forma integrale ilil testo dell'omelia dell'Arcivescovo Mons. Vincenzo Bertolone per il venerdì santo.
Carissimi fedeli ed amici, a conclusione della via Crucis mi chiedo e vi chiedo: dopo i fatti di Bruxelles che senso ha andare dietro ad un crocifisso? possiamo parlare ancora di Pasqua di Resurrezione?
Il percorso della via Crucis ed il triduo pasquale esprimono, devozione, gesti cultuali, liturgia e recano con sé una forza incredibile sul piano della spiritualità e della costitutiva trascendenza dell’essere umano. Da esse si sprigiona un fascino magnetico che coinvolge ed interpella le coscienze, anche di chi è distante (o tale si ritiene), dalla fede. Questa predisposizione spirituale raggiunge il suo culmine nella processione del venerdì santo, che attraverso la rappresentazione della salita al Calvario del Cristo condannato alla crocifissione si fa metafora del cammino individuale di ognuno di noi. [MORE]
È in questo interrogarsi, nella ricerca del sé nascosto tra le pieghe dell’anima, che la processione del venerdì santo dice ad ogni uomo che il silenzio è un’esperienza di purificazione, di profondo discernimento e perciò bisogna guardare il volto di Cristo morente. Tutto ciò trasmette il messaggio senza tempo: l’uomo è fatto per vivere con Cristo eternamente. Ma tornando ai fatti di Bruxelles non posso non ripetere che “il sonno della ragione genera mostri” e le cui azioni non hanno né il profumo dell’uomo, né tantomeno il profumo di Dio. Il mondo e l’Europa sono tanto poveri da non riconoscere l’oblio di Dio come “mancanza”. Per questo si deve parlare di Pasqua di Resurrezione anche in questi giorni tristi e in queste ore difficili, bagnate una volta ancora dal sangue: il dramma d’amore di Cristo ci dà la certezza che il male non avrà mai il sopravvento sul bene. Nel cuore della vecchia Europea e nel Belgio, simbolica capitale dell’indefinita Unione Europea, come nel resto del mondo, si combattono guerre dimenticate ma non per questo meno sanguinose. La Pasqua parla da sé: il figlio di Dio che sceglie la croce per la salvezza degli uomini è la dimostrazione evidente della follia della croce espressa dalla fede al contrario di chi, invece, sceglie la via della distruzione e della morte per imporre, farneticando, il predominio del proprio “unico” dio.
Una mentalità non sempre condivisa da tutti i musulmani e tuttavia da tenere presente sempre e da non prendere sottogamba, specie per i suoi effetti nefasti, e con la quale misurarsi seguendo l’esempio di Cristo, che in vita non chiuse mai le braccia a nessuno e fino all’ultimo respiro trovò la bellezza del perdono. Cari amici, abbiamo bisogno di riscoprire le nostre radici cristiane e di ravvivare la fede con i suoi valori eterni seguendo lo stile di Cristo Crocifisso: “Non pregate come i farisei… Non fate come loro… Non così tra voi… Nessuno ha mai parlato come quell’uomo…”. E, ancora: pesate la portata dell’offerta di quella vedova, imitate l’atteggiamento umile di quel pubblicano al tempio, pensate al modo di farsi prossimo del samaritano, non giudicate secondo le apparenze,… Sì, la vita cristiana, alla sequela del Signore Gesù è una questione di stile che ci dà il ritratto del cristiano.
Per seguire le tracce di Cristo si dovrà camminare tra il grano e la zizzania, dovremo imparare a distinguerli cominciando da quei loro semi che germogliano nel nostro cuore; si dovrà guardare il cuore dell’altro e le sue ferite, fino a scorgere persino dentro l’omicida l’uomo che è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, connotati che permangono indelebili nonostante il male e il peccato. È follia pensare di fronteggiare le mafie, i corrotti, i violenti con la forza disarmata del Vangelo? Forse, ma di quella stessa follia che chiede di amare i nemici e di pregare per i persecutori, di odiare il male, ma amare le persone, anche quelle che sembrano aver smarrito la loro appartenenza all’umanità. Solo così la presenza dei cristiani nella compagine umana si rivelerà sale e luce; solo così pace e giustizia si abbracceranno, solo così vedremo germogliare nel campo del mondo arcobaleni in cieli nuovi e terra nuova, dove l’uomo non sarà più lupo all’uomo.
Cari amici ecco che cosa significa essere discepoli di Cristo, cristiani coerenti, credibili. Dobbiamo formare i nostri giovani non al buonismo, né al catastrofismo, ma a guardare la vita con l’occhio di Dio crocifisso e risorto, ad essere veri ad avere un’identità cristiana genuina e autentica . Se così non sarà " il cristianesimo se ne va e con esso, se ne va tutta la nostra cultura e, forse, come ha scritto qualcuno, si dovranno attraversare molti secoli di barbarie". Certamente abbiamo il dovere non solo di curare la nostra identità, ma di custodirla nei suoi tratti fondamentali e nella visione della vita e del mondo. Di qui la necessità che chi viene in Italia come in Europa s’integri nel sistema di valori, di regole, e di comportamenti che vigono da noi.
Allora, nonostante il buio del tempo presente, ha senso parlare della Croce e della risurrezione di Cristo che ci ricordano che ai discepoli di Gesù Cristo è dato per grazia di offrire un luogo all’utopia del bene che vince il male, in sé come nell’altro. E quel luogo può essere non al di là del mare, ma vicinissimo a noi, sulla nostra bocca e nel nostro cuore.
Viviamo nel mezzo di un passaggio epocale: abbiamo il compito di costruire il mondo che verrà. Ed in questo la misericordia, cuore della predicazione di Papa Francesco, può esserci d’aiuto.
“Coraggio, non temere!” è la parola del Signore per l’oggi di ciascuno di noi.
+p.Vincenzo Bertolone
Arcivescovo