Mons. Bertolone, Omelia e conclusione della Naca
Cronaca Calabria

Mons. Bertolone, Omelia e conclusione della Naca

venerdì 18 aprile, 2014

Pubblichiamo testo integrale Via crucis del 18 aprile 2014
Sorelle e fratelli carissimi,

1. La Croce ci ha raccolti tutti, con la via crucis abbiamo rivissuto la giornata più drammatica, più silenziosa, più austera della storia umana. E’ il giorno del silenzio e del dolore, del dolore della madre, delle donne, dei discepoli, di quanti lo hanno amato e di quanti lo amano; è il giorno delle lacrime e del pianto.
2. Sui nostri passi di viandanti lungo il cammino della Croce, abbiamo portato con noi, nei nostri cuori, tutti gli abitanti dell’arcidiocesi di Catanzaro-Squillace.

3. Sono con noi i nostri vecchi, soprattutto gli ammalati ed allettati, che attendono da noi il conforto e il sollievo di una presenza, di una parola, di una stretta di mano, un’opera di misericordia per il corpo e per lo spirito: una visita, un suggerimento, una parola di speranza e di conforto.
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4. Sono con noi i nostri carcerati, quelli condannati per riparare al male commesso e quelli ancora in attesa di giudizio. L’abbiamo sentito lungo la via dolorosa: il tradimento, la violenza, l’infamia possono covare anche nel cuore di gente molto vicina a Gesù, come abbiamo visto per Giuda, l’apostolo che ha tradito e guidato il drappello che ha catturato Gesù il Nazareno. Satana, carissimi amici, nei momenti in cui meno ce l’aspettiamo, è all’opera, insinua il dubbio nei nostri cuori, ci fa assaporare la bellezza della malvagità gratuita, ci acceca le menti e indurisce i cuori. Eppure, anche nel buio dell’abiezione e dell’abbrutimento, anche nel peccato più incallito, esiste la luce dell’anima, la voce della coscienza che prende atto delle proprie malvagità, chiede perdono, espìa e spera in una parola di fiducia: oggi sarai con me in paradiso. Il Crocifisso illumina tutti i luoghi di esclusione e di emarginazione che le nostre città creano, a volte non soltanto nelle carceri, ma perfino nei ghetti sociali, nelle periferie abbandonate, nelle case in cui si erigono muri di litigio e di silenzio imbarazzato. Perdono, Gesù Crocifisso!

5. Sono con noi i nostri concepiti, i nostri feti che, a volte, dei gravissimi motivi spingono – ahimé - le mamme ad abortire. Quanta vita spenta sul nascere, quanto amore umano sprecato e reso infecondo! Sono con noi i nostri neonati, i nostri bambini, i nostri ragazzi: volti che l’amore di un popolo credente ha voluto rigenerare alla vita nuova battesimale; volti di piccoli, che attendono di essere formati e modellati da adulti, i quali non possono abdicare al proprio dovere di paternità e di maternità, di genitorialità e di educazione. L’abbandono progressivo che il Crocifisso ha subito dall’orto degli Ulivi al Gòlgota, da parte di tutti, nemici ed amici, è per noi una sorta di avvertimento: non bisogna abbandonare gli inermi, gli indifesi, i piccoli, che attendono da noi gesti di vero amore e non soltanto di semplice soddisfazione dei loro bisogni fisici ed economici. Perdonaci, Gesù Crocifisso, quando perdiamo di vista le vite deboli, indifese, non ancora nate, inermi!

6. Sono con noi le donne e gli uomini che hanno perso il lavoro, che il lavoro non l’hanno ancora trovato, che disperano di trovarlo, che si vendono al miglior offerente pur di guadagnare qualcosa, che cedono alle pressioni delle forze illegali le quali fanno luccicare il colore del denaro a fronte di ingiustizie, illegalità, immoralità gravi. Senza lavoro, il domani è buio, tetro, senza luce. Senza lavoro, non c’è dignità. Questa via Crucis è anche un appello a coloro che possono creare lavoro, che sono in grado di mettere in circolo il danaro, che possono trasformare la città, il territorio, il turismo, la cultura. Oltre alla diffusa povertà economica – quanti poveri attendono ogni giorno da noi un boccone! -, esiste tanta, tantissima, povertà morale, spirituale, colturale, sociale. Quanta fame e sete di rapporti genuini, sinceri, generosi! Quanta fame e sete di relazioni viso-a-viso, relazioni belle, sincere, oltre le reti informatiche e sociali che a volte disperdono nella solitudine e nell’anonimato, invece di avvicinarci!

7. Sorelle e fratelli, davanti alla croce non si può fingere. Nessuno si può nascondere. Siamo messi a nudo in tutte le nostre miserie, reticenze, finzioni, tradimenti, abbandoni. I silenzi di Gesù, le sue sofferenze indicibili, sono anche per noi ed i nostri peccati. Vogliono illuminare gli angoli bui della nostra coscienza morale, ma attendono un nostro cenno di adesione, un nostro si convinto. Donne e uomini di questa città, ecco la Croce: non è uno spettacolo che passa; è il segno indelebile della salvezza, che chiede, a costo del sangue e della sofferenza, di attraversare le nostre anime, di bruciare le nostre ferite, di purificare le nostre cattive intenzioni, di assecondare i nostri propositi di cambiamento. Solo se lo vogliamo. Solo se, detestando i nostri errori e la nostra vita vuota, chiediamo al sacerdote di riconciliarci con Dio e con i fratelli.

8. Carissimi amici, l’ora della croce arriva per tutti e quando arriva…ricordiamoci di guardare il crocifisso per eccellenza : Cristo È la croce l’abito che “fa” il cristiano, la croce è la sua divisa, il suo segno distintivo. La croce è fatta di incomprensioni, di abbandono, di ingratitudine, di rifiuti, di umiliazioni, La croce è l’altra faccia dell’amore. La croce di Cristo è un giudizio sulle nostre ingratitudini, sui nostri compromessi, sui nostri tradimenti, sui nostri egoismi, sulle nostre superbie, sulle nostre trasgressioni, sui nostri peccati.

Vorrei che dinanzi alla crocifisso, stasera a conclusione della via crucis, chiedessimo un dono: il dono delle lacrime e della commozione sincera perché eliminino dai nostri cuori durezze ed incoscienze. Senza lacrime non c’è santità. Come ci sente buoni quando le lacrime sono vere, abbandonate, asciugate. Asciughiamo qualche lacrima, consoliamo chi soffre, facciamo del bene, sempre, a tutti.

Venerdì santo 2014
Liturgia della Passione e morte del Signore

Ricòrdati, Padre, della tua misericordia!
Ricòrdati di noi, Figlio, nel giorno in cui inaugurasti, nel tuo sangue, il mistero pasquale!
Rinnova, in noi, o Spirito santo, la tua azione potente, che ci fa portare in noi l'immagine dell'Uomo celeste!


Sorelle e fratelli carissimi,
nei giorni di venerdì e sabato pre-pasquali la liturgia, per antichissima tradizione, non prevede l'Eucaristia, e pur potendo nutrirci del pane eucaristico rinunceremo al memoriale liturgico in attesa dell’alba del terzo giorno, quasi per materializzare il dolore e il lutto di tutta la Chiesa di fronte al corpo esamine di Gesù, che è stato immolato sull’altare della Croce.


Tuttavia, proprio davanti all’albero della croce, proprio davanti al sepolcro in cui egli fu deposto come ogni altro essere umano, noi comprendiamo la luce e la misericordia che provengono dalla Via crucis: su quel legno, infatti, vi è colui il cui “nome è al di sopra di ogni nome”; viene crocifisso il Dio-con-noi, che si è liberamente “annichilito” per liberarci dai peccati e dal male.


In quel sepolcro nuovo fu deposto il cadavere di colui che non è soltanto uomo, ma il Figlio glorioso di Dio. Crediamo davvero in lui e, soprattutto, facciamo corrispondere la nostra esistenza a questa fede? Crediamo davvero che noi siamo stati guariti per le sue piaghe?
Lo percuotiamo noi, sorelle e fratelli, con le nostre scelte malvagie, così come lo percuote la guardia del sommo sacerdote. Neghiamo di conoscerlo noi, con le nostre mancate professioni di fede, così come Pietro lo rinnega tre volte consecutive. Pur non trovando in lui alcuna colpa, come riconosce il procuratore romano, noi lo affidiamo sempre alla sua tragica sorte, lavandoci le mani di fronte al coinvolgimento e alla compromissione richieste da un’esistenza veramente cristiana; lo coroniamo noi di spine e lo schiaffeggiamo, come i soldati di Pilato, ogni volta che distruggiamo, violentiamo, allontaniamo un nostro fratello nel bisogno. Lo crocifiggiamo ancora noi, nel luogo detto del cranio, quando dimentichiamo i benefici ricevuti e non abbiamo orecchie per ascoltare il lamento accorato di chi ci ripete: “Che male ti ho fatto”?


Siate fratelli: siamo fratelli. È questo l’esempio che ci viene dal Cristo in croce: aprire le braccia agli ultimi, agli emarginati, ai poveri, agli ammalati nel corpo, nella psiche e nell’anima, ai disperati che non riescono a trovare la quadra per il futuro. Specialmente nella nostra Italia, in cui i valori sono alla deriva – e la nostra terra di Calabria, per quanto resista più di altre, non si sottrae ad essa - l’amore può diventare una forza, una spinta, una motivazione ad immettere nel circuito della vita comunitaria quel tanto di gratuità e di generosità necessarie per la “ripartenza”. Oggi che i generi cercano riconoscimento e diritti, s’invocano nuove forme di famiglia, i media digitali inaugurano strategie inedite d’incontro, mentre una diffusa erotizzazione possessiva mostra la presa del mercato anche sull’economia del desiderio creando nuove solitudini, bisogna riscoprire l’arte d’amare evangelicamente. Cristo, col suo estremo sacrificio, lo testimonia e ci esorta: dobbiamo riscoprire la capacità di rispondere non solo a noi stessi, ma anche al debito di gratitudine che abbiamo verso gli altri, attraverso virtù come la coerenza e la responsabilità.


Oggi, in questa liturgia della Passione, commemoriamo insieme i due aspetti del mistero della croce, in cui non dobbiamo fermarci soltanto né alla morte, né alla risurrezione, attesa e sperata. La sofferenza di oggi, infatti, prepara la gioia di Pasqua; l'umiliazione e la vergogna di Gesù sono la via da lui liberamente scelta perché si manifestasse la sua gloria e zampillasse l’acqua viva per la nostra redenzione. Abbiamo ascoltato la profezia, con le sue contrapposizioni e antitesi, perché ci ricordano tutti e due gli aspetti dell’unico mistero di morte-risurrezione: il Servo di Jahwè è sfigurato, ma insieme è esaltato e innalzato grandemente; è certamente disprezzato, senza stima e reietto, anzi è l’uomo dei dolori; ma, insieme, quello è una sentenza che ci procura salvezza. Chi avrebbe mai creduto a un annuncio così? Si potrebbe mai credere, ragionando con cervello ed esperienza umane, che l’umiliazione e la vergogna debbano preludere ad una certa glorificazione?


Ecco, sorelle e fratelli, il senso dottrinale di quello che i teologi chiamano “l’espiazione vicaria”, compiuta dal crocifisso-risorto: secondo il progetto di amore e di salvezza, Dio fece ricadere su di lui, suo Figlio incarnato, l’iniquità di noi tutti. In tal modo, egli offre liberamente se stesso, abbandonandosi fiduciosamente nelle mani e nella volontà del Padre, per compiere il sacrificio di riparazione. Il Salmo 30 continua quella terribile descrizione che prelude, comunque, alla glorificazione del Cristo: “Sono come un morto, lontano dal cuore; sono come un coccio da gettare”. Ma lo stesso Salmo canta, insieme, la possibilità (per noi, la certezza) della glorificazione: “Sul tuo servo fa’ splendere il tuo volto, salvami per la tua misericordia”. Glorificazione, insomma, ma a condizione della passione e della morte. Dice la Lettera agli Ebrei, commentando questo mistero: egli, in tal modo, “divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono”.


Il commovente racconto della Passione appena ascoltato, colloca la prima scena di questo dramma di passione e morte in un giardino, oltre il torrente Cèdron, noto anche al traditore Giuda. In un giardino, come nel racconto delle origini umane, si ripete la scena del tradimento e della sopraffazione. Tutto avviene, di nuovo, come nei primi tempi umani, così come accade ogni volta che siamo di fronte al bivio di una decisione, pro o contra Cristo, pro o contra i fratelli e il prossimo. Non sono soltanto gli altri, quelli di fuori, che progettano il tradimento. Anche all’interno del giudaismo, perfino nel gruppo dei discepoli del Nazareno, ci sono, infatti, dei chiari dissensi sulla linea nuova, indicata da Gesù. Ce lo ricorda il drammatico racconto dell’evangelo, presentandoci come protagonista dell’arresto, non gli altri, bensì uno dei Dodici: “Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei”.


Quante volte e proprio nelle comunità del Signore, sorgono tradimenti, incoerenze, maldicenze, errori, violenze. Quante volte cediamo alle insinuazioni del Maligno, che è sempre pronto nell’ora delle grandi decisioni con le sue allettanti lusinghe! E commettiamo il male per il male, versando il sangue dei fratelli e delle sorelle, eliminando i valori dell’amicizia, della solidarietà, del rispetto, della prossimità, della fratellanza.


Sì, il mistero di Pasqua avviene nel sangue, nella violenza fisica e psichica, nella sopraffazione attuata dai singoli e dai gruppi sulla persona di Gesù! Però ci ripete anche oggi ugualmente crudo ed efferato nella nostra società. Accade “per noi”, come canta il versetto al Vangelo. Ogni oppressione e ingiusta sentenza; ogni colpa del popolo di Dio, ogni reticenza o tradimento contribuiscono al versamento del sangue. Tuttavia, pur nella concretezza di questo dramma, non dobbiamo perdere di vista l’altro aspetto di questo mistero. Perciò, come ricorda la Lettera agli Ebrei, sorelle e fratelli, “manteniamo ferma la professione della fede”. Perciò, anche se sotto le aberrazioni dei processi e sotto i veli del sangue e della morte, “accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia”.
Cediamo allora ogni tentazione di violenza, riponiamo ogni arma nel fodero, riconosciamo il messaggio d’amore di colui che “non ha mai detto nulla di nascosto”. “Che cos’è la verità?”, domanda Pilato, senz’averne risposta dal Maestro. Noi questa risposta l’abbiamo: la verità, la via e la vita è quell’Uomo lì, di cui i soldati si dividono le vesti, la cui sete viene soddisfatta con aceto, il cui fianco viene trafitto dalla lancia, il cui corpo viene avvolto con teli e cosparso di aromi.
Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo, perché con la tua santa Croce hai redento noi e il mondo!


Vincenzo Bertolone
 

 


Autore
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