Messaggio dell'Italia all'UE: la situazione dei migranti è grave
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Messaggio dell'Italia all'UE: la situazione dei migranti è grave

mercoledì 28 giugno, 2017

ROMA, 28 GIUGNO – L’Italia ha fatto la prima mossa formale verso la Commissione Europea sul tema dell’immigrazione.[MORE]

Il Governo Italiano avrebbe dato mandato al Rappresentante presso Bruxelles, l'ambasciatore Maurizio Massari, di porre formalmente al commissario per le migrazioni Dimitris Avramopoulos il tema dell’emergenza che sta affrontando il nostro Paese, quello degli sbarchi in Italia.
Messaggio consegnato dall'Italia alla Commissione: la situazione che stiamo affrontando è grave, l'Europa non può voltarsi dall'altra parte.

È insostenibile, viene spiegato a motivare il passo italiano, che tutte le navi che fanno operazioni di salvataggio approdino in Italia. “Il governo starebbe valutando la possibilità di negare l'approdo nei porti italiani alle navi che effettuano salvataggi dei migranti davanti alla Libia ma battono bandiera diversa da quella del nostro Paese e non facciano parte di missioni europee”.Il divieto riguarderebbe non solo le navi delle Organizzazioni non goevernative, ma anche quelle di Frontex, l'agenzia per il controllo delle frontiere esterne dell'UE, e di Eunavformed, la missione per il contrasto ai trafficanti di uomini nel canale di Sicilia alla quale partecipano 25 paesi UE.
Secondo fonti governative è ormai "insostenibile" che tutte le imbarcazioni che operano nel Mediterraneo centrale portino le persone soccorse in Italia.

Secondo i dati Unhcr, tra il 1 gennaio e il 31 maggio 2017 sono sbarcate in Italia 60.309 persone. Un dato significativamente superiore a quello dello stesso periodo del 2016, quando arrivarono 47.858 persone (+26%). A maggio 2017 sono arrivati via mare in Italia 23 mila migranti, il 15,5% in più dello scorso anno.
I paesi di provenienza più rappresentati nel 2017 (dati aggiornati al 30 aprile) sono: Nigeria (14,1% degli arrivi, circa cinquemila persone) Bangladesh (12,5%, 4.600 persone), Guinea (11,2%, quattromila persone) e Costa d’Avorio (10,5%, 3.900 persone). Seguono Gambia, Senegal e Marocco, da cui sono arrivate nel 2017 tra le due e le tremila persone.
Ad arrivare in Italia (dati al 30 aprile 2017) sono soprattutto uomini (il 75%), con una considerevole fetta di minori non accompagnati (il 15% degli arrivi).
La gran parte degli sbarchi avviene in Sicilia (il 75%) ma sono in aumento gli arrivi via mare in Calabria (il 10% circa), seguita da Sardegna, Puglia e Campania (circa il 5% ciascuna). C’è da dire che molte imbarcazioni non arrivano ad effettuare un vero e propri sbarco di fortuna, ma vengono intercettate in mezzo al mare poi le persone vengono condotte nei porti (ad esempio a Augusta, Catania, Reggio Calabria).

Il tema migrazioni è in cima all’agenda politica e all’attenzione dell’opinione pubblica europea da ormai tre anni. Moltissime sono le questioni poste, proposte, affrontate, risolte, fallite in questo tempo.
La questione sistemica più evidente è che l’Europa non ha trovato la quadra, a causa di posizioni inconciliabili tra i suoi stati membri, tra chi fa la prima accoglienza (Italia e Grecia), chi accoglie già numeri importanti di migranti e rifugiati (Austria, Svezia), chi aveva spalancato le porte ma poi ci ha ripensato (Germania), chi non ne vuole sentir parlare (Ungheria) e chi nell’Europa non ci sta più (Regno Unito).
Oltre all’accordo con la Turchia, la principale strategia comune è la cosiddetta relocation, cioè il ricollocamento dei profughi in modo che siano distribuiti più equamente tra gli stati dell’Unione Europea. L’accordo, stipulato a settembre 2015, prevedeva inizialmente il ricollocamento di 160 mila persone da Grecia e Italia ad altri paesi europei entro settembre 2017.
Il processo è stato fin dall’inizio irto di ostacoli, tanto che la Commissione Europea ha dovuto ridurre il target a 98 mila persone. Già, in 19 mesi sono state rilocate solo ventimila persone: un misero 20%. La strategia della Commissione Europea per diminuire le proporzioni del flop sembra essere quella di ridurre ulteriormente il target, abbassandolo da 98 mila a circa 33 mila persone, obiettivo considerato abbastanza realistico da essere raggiunto entro il prossimo settembre.

Il vero obiettivo del 2017 per l’Europa è comunque la chiusura della rotta Libia-Italia, sul modello di quanto fatto con la rotta balcanica nel 2016. A inizio febbraio è stato siglato un accordo tra Italia e Libia, che stabilisce una serie di ambiti di collaborazione tra i due paesi per la riduzione dei flussi in partenza dalla Libia.
L’Italia dovrebbe fornire assistenza, equipaggiamento e formazione alla guardia costiera libica, ma anche supportare la Libia nel controllo delle frontiere a sud e nell’ammodernamento dei centri di accoglienza dei migranti, con il sostegno dell’Unione Europea.

A maggio si sono visti i primi effetti concreti dell’accordo: la guardia costiera libica ha infatti iniziato a intercettare e riportare indietro imbarcazioni di migranti, con azioni che alcune Ong denunciano come illegali.
Si tratta di operazioni che potrebbero diventare sempre più frequenti anche se secondo più di un osservatore il rafforzamento della guardia costiera libica potrebbe anche causare l’effetto contrario, ossia un incremento del traffico dei migranti, visti i rapporti di collusione tra quest’ultima e i trafficanti.
Al di là del ruolo specifico della guardia costiera libica, l’applicazione dell’accordo appare molto problematica. C’è un problema pratico, ed è che la Libia non ha un governo ma tre, e che il governo con cui si è siglato l’accordo non è in grado di farlo rispettare se non in minima parte.

C’è poi un enorme problema umanitario, visto che la violazione dei diritti umani fondamentali verso i migranti in Libia è all’ordine del giorno, con abusi, torture e stupri riportati da anni dai migranti che transitano per il paese dove ora l’Europa vuole trattenerli a tutti i costi.
Sul fronte interno, si lavora all’implementazione del decreto Minniti-Orlando approvato ad aprile, che introduce importanti novità per la gestione del fenomeno migratorio in Italia.
Il decreto riforma il sistema di prima accoglienza con l’obiettivo di aumentare i rimpatri. In particolare viene dato nuovo impulso al ruolo dei CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione), rinominati CPR (Centri di Permanenza e Rimpatrio) e distribuiti sul territorio, uno per regione. Nei CPR verranno rinchiusi quei migranti per cui viene avviata la procedura di rimpatrio, con l’obiettivo di renderla più efficiente.
In secondo luogo, viene introdotta un’importante riforma del diritto di asilo. Viene eliminato il grado di appello per i richiedenti asilo a cui la Commissione Asilo nega lo status di rifugiato o altre forme di protezione umanitaria, con l’obiettivo di ridurre i tempi di permanenza nel sistema di accoglienza dei richiedenti asilo, che ora, tra domanda, esame della stessa e ricorso, arrivano fino a due anni.
Infine, il decreto prevede anche che i richiedenti asilo siano massicciamente impiegati in lavori di pubblica utilità purché, si intende, non retribuiti, aprendo una questione su quale sia il limite tra promozione dell’integrazione, sfruttamento economico e introduzione di una condizionalità tra accoglienza e lavoro non retribuito che sarebbe inaccettabile.

Accanto a queste misure per la gestione dei migranti sul suolo nazionale, il Ministro dell’Interno Minniti sta lavorando alla stipula di accordi bilaterali con i paesi di origine dei migranti (ad esempio Sudan, Niger e Nigeria), con l’obiettivo, anche qui, di rendere più efficiente la macchina dei rimpatri. Questi accordi sono però molto complicati da stringere, e trapelano poche informazioni sul loro reale stato di avanzamento.

Si continua a discutere poi sul ruolo delle organizzazioni non governative nel Mar Mediterraneo. Dal 2015 le imbarcazioni di alcune tra le più importanti ONG internazionali (ad esempio Medici senza frontiere, Save the children, SOS Mediterranée, Proactiva Open Arms) compiono operazioni di salvataggio in mare e sono state pesantemente accusate di fungere da fattore di attrazione per i migranti quando non di essere apertamente colluse con i trafficanti.

Di recente, il presidente del Consiglio Gentiloni ha dichiarato: «Sull'immigrazione dobbiamo dirci onestamente che nonostante qualche passo in avanti la velocità con cui l'Ue si muove sul terreno delle politiche comuni resta drammaticamente al di sotto delle esigenze di governo e gestione di questo fenomeno. Lo diremo apertamente anche a Bruxelles - ha sottolineato il premier - Qualche risultato almeno simbolico è stato ottenuto: la Commissione ha annunciato una procedura d'infrazione per i tre Paesi che non accettano gli impegni. Ma non ci consola questa soddisfazione morale». «Quel che vogliamo sapere dall'Ue è se sulla strada» della gestione dei flussi migratori «c'è l'Ue o se noi dobbiamo continuare a cavarcela da soli. L'Italia è in grado di gestire la questione, sia pure con difficoltà crescenti, ma l'Europa se vuole recuperare la sua vitalità e scommettere sul proprio futuro deve avere una politica migratoria comune: lo pretendiamo a Bruxelles».

Fonte immagine:lastampa.it

Alessia Panariello


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