Editoriale
Memorandum. Arrivederci ad Antonio Tabucchi. Io lo ricordo così
CATANZARO, 28 MARZO 2012 - In qualche biografia si legge che sia stato l’unico nato a Pisa nel giorno in cui gli Alleati (il 24 settembre 1943) bombardavano la città contro il nemico tedesco ancora presente; nell’ospedale di Santa Chiara, una suora levatrice incoraggiava tra i sussulti e gli spostamenti d’aria provocati dalle esplosioni, la madre di Antonio Tabucchi – «si sbrighi» – a dare al mondo lo scrittore italiano che il 25 marzo 2012 ha lasciato un vuoto incolmabile nella letteratura e cultura italiana e internazionale. Testimone di una letteratura come memoria, «memoria lunga che si oppone alla memoria breve dei mass-media» (art. La letteratura come memoria), di una letteratura che ci permette di prendere coscienza della nostra esistenza, e di una letteratura che racconta la verità, così inizia il suo viaggio Antonio Tabucchi.
«Posare i piedi sul medesimo suolo per tutta la vita può provocare un pericoloso equivoco, farci credere che la terra ci appartenga, come se essa non fosse in prestito come invece tutto è in prestito nella vita» (Viaggi e altri viaggi, Feltrinelli 2010), con questa piccola saggezza Tabucchi definiva il viaggio, facendone metafora della sua vita, divenendo infatti cittadino del mondo, un apolide nomade tra Lisbona (una seconda patria), Parigi, Creta (di cui diventa cittadino onorario), la Toscana (dove insegna all’Università di Siena); «il terreno che noi calpestiamo è in prestito; non è vero che se stiamo sempre nello stesso luogo, questo ci appartiene necessariamente, poggiare la pianta dei piedi in un luogo non ce ne da il diritto di appartenenza, un giorno voleremo via» (Viaggi e altri viaggi, Feltrinelli 2010). [MORE]
Il viaggio della sua vita ha trovato senso all’interno di sé stesso, inobliabile per aver rivelato l’imprevisto, per aver vissuto luoghi che non avrebbe mai conosciuto, per aver trovato persone e cose che non avrebbe mai incontrato; così nasce per Tabucchi l’amore per la letteratura, per il cinema, per il Portogallo, attraverso l’imprevisto del viaggio.
Al ritorno da Parigi, presso un bouquiniste alla Gare de Lyon, si imbatté in un libretto dal titolo Bureau de tabacs (Tabacaria) firmato Alvaro De Campos, eteronimo di Fernando Pessoa, che fu il fortuito incipit del suo amore per una terra sconosciuta e per un autore ancora ignoto ai più, della cui opera è stato il maggior critico e traduttore.
Il libro gli ha dato l’input per scoprire Pessoa, ma una volta lì, in Portogallo, fu la gente del luogo e una terra provata da molti problemi politici e sociali, gli scrittori di altre generazioni che incontrò e sua moglie Maria José a dare seguito alla sua permanenza e a questo suo grande amore.
Da filologo qual era onorò con la sua opera di traduzione Fernando Pessoa, da lui stesso definito, romanziere di una commedia umana in versi, un poeta che ha creato dei personaggi che a loro volta fanno poesia. Anche il lavoro da traduttore fu un viaggio, «un viaggio verso l’opera» – dice Tabucchi – «il traduttore è Ulisse, è colui che porta il libro altrove, è colui che fa la traversata», tradurre è un avventura e tradurre Pessoa è stata un’avventura linguistica per Tabucchi.
Da alloglotta fece suo il portoghese. Si dice che quando inizi a pensare in un’altra lingua, quella lingua diventa tua. Figuriamoci quando si sogna, in un’altra lingua; a Tabucchi capitò, di sognare suo padre che gli parlava in portoghese e poi ne venne fuori Requiem (1991), trascrizione e elaborazione di quel viaggio onirico.
Poi arrivò “Pereira”, scritto nel 1993, concluso il 25 agosto (data riportata in epilogo al romanzo).
La percezione di Tabucchi in quegli anni è quella di un certo imperversare di xenofobie, razzismi, revisionismi, violenti e atroci avvenimenti (Jugoslavia, per esempio) che lo riportarono agli anni Trenta, e che lo indussero a ideare una storia nel Portogallo del 1938, con la guerra civile spagnola alle porte. Quando in Italia uscì nel 1994, Sostiene Pereira fu etichettato da qualche giornalista “incline e deviato”, “romanzo brezneviano”: Berlusconi era salito al potere da poco, il “berlusconismo” prendeva forma e spazio e fu proprio lui e la classe politica di quel momento a pensare quel romanzo come romanzo politico, a “riconoscersi” in quel contesto romanzesco. Tabucchi non l’aveva concepito come tale, sebbene non gli dispiacesse questa corrispondenza. Sostiene Pereira è di certo anche un romanzo politico e sociale: Pereira vive in un regime totalitario che soffoca tutte le libertà, quella di opinione e di stampa innanzitutto, un regime in cui scorgere la veridicità e la genuinità di una notizia è cosa assai difficile, l’impegno antifascista e antitotalitaria è manifesto nel romanzo di Tabucchi. Ma Sostiene Pereira è un romanzo esistenziale, Pereira è l’emblema di quella presa di coscienza di ciò che potrebbe e dovrebbe essere il ruolo di ogni individuo nella società, è il superamento del senso di vuoto e della sensazione di disagio profondo che spesso si prova vivendo in società, è il ritrovamento della ragione per cui veniamo al mondo.
Ancora una volta l’inaspettato. L’imprevedibile ritrovamento di una curiosa fotografia (Couple, 1978 di Kuligowski) in una bancarella di Parigi ispirò Tabucchi a riflettere sui rapporti d’amore tra uomo e donna, sugli amori difficili, sui naufragi d’amore. Un uomo abbraccia una donna, come se naufrago abbracciasse una roccia, di entrambi il volto è occultato dall’abbraccio stesso, dalla stretta che impedisce di capire se si tratta di un addio, o di un ritrovamento. Questa fotografia diede vita al romanzo epistolare Si sta facendo sempre più tardi (2001) che esprime ciò che Tabucchi definì, la disarmonia della vita, con cui si vive la vita, il mancato tempismo che ci impedisce di capire ciò che viviamo mentre viviamo, le cose di cui ci accorgiamo in ritardo, quelle che comprendiamo con ritardo.
Io lo ricordo così, scrittore di ogni tempo e scrittore di autenticità, scrittore di grande vitalità intellettuale, scrittore cosciente della responsabilità e della fatica fisica e mentale che implica raccontare, scrivere, pensare, dire attraverso la letteratura.
Io lo ricordo con saudade. Con nostalgia di ciò che è stato e di ciò che sarebbe potuto essere.
Rachele Bonacci