Editoriale
Mediatori in Italia? I nuovi, futuri disoccupati
Prendiamo la mediazione, un istituto relativamente nuovo, ma che in Italia entrerà a far parte delle professioni ufficialmente solo domenica prossima 20 Marzo. Mediare significa fare da collegamento, ma tra chi? Tra le parti. La mediazione è, dunque, stata creata come mezzo alternativo alle aule di tribunale per quelle diatribe giuridiche che possono essere risolte davanti ad un terzo con le giuste competenze.
Obiettivo immediato: snellire il sovraccarico di cause pendenti innanzi alla magistratura e creare occupazione.[MORE]
Una nuova professione, in effetti, dovrebbe produrre molti posti di lavoro, specie per chi c’ha visto lungo ed ha precedentemente deciso di formarsi. Ma quali sono queste competenze? Il Ministero della Giustizia ha stabilito che chiunque abbia una laurea o sia iscritto ad un albo professionale può frequentare un corso di mediazione. Civile e commerciale, sia chiaro. Altro la mediazione familiare.
Allora quali sono queste competenze? Non è dato saperlo. Probabilmente quelle create durante il corso di formazione. Corsi, poi, che sforneranno milioni di mediatori e dunque milioni di disoccupati, visti i ritmi. Un corso di mediazione civile e commerciale dura in media 50 ore, diciamo 6 giorni. È possibile, dunque, organizzare un corso al mese, 12 all’anno, con circa 30 futuri mediatori nelle aule. In “matematichese” questo significa 360 mediatori sfornati freschi, freschi in un anno, quasi uno al giorno. Veniamo ai costi e ricavi. Uno dei corsi più economici è di 900 euro, iva inclusa, che moltiplicato per 360 fa la bellezza di 324 mila euro all’anno. E questo considerando solo un ente di formazione, ma sappiamo bene che al ministero ne sono iscritti 162 e quanto fa per 324 mila? Un giro d’affari che supera i 52 milioni di euro all’anno. Un vero e proprio business! Quindi l’occupazione che si voleva creare era quella per gli enti di formazione? Perché con tutti questi corsi, al mese “nascono” quasi 60 mila mediatori, un po’ difficile occuparli tutti! Forse così il governo ha creato una nuova categoria di disoccupati o inoccupati: i mediatori.
E sì, perché c’è un altro aspetto da considerare e cioè quel “Chiunque” di cui parlavamo prima. L’istituto della mediazione, si sa, ha creato un po’ di malumore tra gli avvocati che si sono visti “defraudati” di una mole ingente di lavoro, fatta eccezione per le materie di cui c’è stata una proroga semestrale. “In questo modo il governo ha messo gli avvocati in condizione di vivacchiare”, tuona già qualcuno. Quindi che si fa? Si hanno da tempo notizie di numerosi avvocati di ogni età che hanno frequentato i corsi per diventare mediatori. In sostanza non vogliono perdere proprio nessun cliente. Ora anche i medici pare vogliano formarsi in quel senso. Allora la domanda è lecita: saranno sempre gli stessi a guadagnare? E domande ce ne sono tante.
Molti Consigli degli ordini degli avvocati hanno chiesto di essere accreditati come enti di mediazione, per ora solo Roma c’è riuscita, ma in una grande città come la Capitale i rischi sono pochi. E le piccole città? Nei piccoli centri tutti conoscono tutti e se un Consiglio dovesse venire accreditato si creerebbe una lobby nella lobby.
Chiariamo subito che un avvocato anche se mediatore non può assolutamente mediare la lite del suo cliente. Però, ad esempio, l’avvocato che suggerisce la mediazione potrà indicare al cliente a quale mediatore rivolgersi e se questo fa anche parte dell’ordine lo conoscerà di sicuro. Non si vuole certo malignare, ma quanti secondo voi si metteranno d’accordo per far fallire le mediazioni così da non perdere parcelle profumate? Noi che siamo un po’ maliziosi pensiamo tanti. Anche perché le mediazioni fallite vanno ugualmente pagate. Così ci guadagnano tutti tranne l’utente che dovrebbe essere tutelato, lo sottolineiamo.
Inoltre è noto che nei piccoli centri anche tra i membri degli ordini ci sono professionisti che “spiccano” più degli altri, chi lavorerà secondo voi? Forse chi è sotto l’ala protettrice del nome blasonato di turno? C’è da scommetterci. Sarebbe più facile arricchirsi creando un social network come Facebook o Twitter che lavorare dove il piccolo pesce conta meno di zero!
In questo modo davanti ai giudici arriveranno non solo le mediazioni fallite, ma anche i ricorsi per danni contro i mediatori. Perché “cca nisciun e fess”. Altro che snellire la mole di lavoro!
Analizziamo, però la mediazione in sé. Un mediatore deve essere super partes, non deve preconfezionare una soluzione e sottoporla alle parti, ma trovarne una diversa che soddisfi entrambi assieme ai clienti e, aggiungerei, non deve essere influenzato dagli avvocati o da chicchessia, che nella fase della mediazione non c’entra nulla.
Il rischio è di svilire in partenza un bell'istituto, tra l'altro molto utile con le dovute modifiche, dandola vinta a chi non lo regge proprio. Perché è naturale che gli utenti non si fideranno mai di un mediatore medico se hanno un contenzioso con un ospedale, stesso discorso per gli architetti, i geometri etc... Se poi gli avvocati viziano loro il pensiero poiché "non c'è da fidarsi del mediatore suggerito dalla parte avversa! Favorirà certo loro" è tutto fallito ab origine. Sarebbe necessaria una sinergia ed un ambiente lavorativo che cooperi. In italia però è forse un'utopia.
Non sarebbe stato forse più opportuno, allo scopo di creare vera occupazione per chi ne ha bisogno, i giovani e non più giovanissimi 30enni, che quel “Chiunque” non fosse troppo generico? Magari il governo avrebbe fatto meglio a stabilire il contrario, decretando che potesse diventare mediatore “Chiunque” avesse una laurea e che non fosse iscritto a nessun altro albo professionale, creando un albo dei mediatori. Questo tuttavia è solo un suggerimento.
Clara Varano