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ROMA, 21 MARZO - Che il sistema della giustizia civile in Italia fosse al collasso, data la mole dei contenziosi e dei tempi necessari per pervenire alla loro definizione, era evidente tanto agli operatori del diritto, quanto a coloro che in qualità di attore o convenuto assumono il ruolo di parte nel processo. Ed era evidente anche a quelli che intimoriti dalle lungaggini della giustizia, talvolta rinunciavano a far valere i propri diritti per non restare inghiottiti in vicende che nelle aule spesso diventano più confuse ed equivoche di prima, date le tante lacune della legge. [MORE]
Così, al fine di agevolare un migliore accesso alla giustizia e di semplificarne la procedura, in attuazione della direttiva europea 2008/52/CE, del Parlamento e del Consiglio dell’Unione Europea, anche il legislatore italiano, con il D.lvo del 4 marzo 2010, n.28, in linea con quanto già avviene negli altri sistemi europei, ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto della mediazione civile e commerciale che, fatta eccezione per le controversie in materia di condominio e di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, prorogate di una anno, per tutte le altre materie previste nella legge,entra oggi in vigore.
Tuttavia con l’entrata in vigore del già citato D.lvo n.28 del 2010, sin da subito è stato posto il problema di coordinare la funzionalità dell’istituto con le norme previgenti, specie per quanto riguarda la competenza del Giudice di Pace, la cui funzione primaria è sempre stata quella di risolvere i contenziosi solo dopo che il tentativo di conciliazione fosse stato esperito e non fosse andato a buon fine. D’altro canto l’istituto si caratterizza per la sua specifica collocazione, che resta nell’ambito dell’accordo stragiudiziale tra le parti.
Ma contro la riforma, che rende obbligatorio il procedimento della mediazione in quanto condizione di procedibilità della domanda giudiziale, sono state opposte molte resistenze sin dai suoi esordi con riferimento alla stesura della legge, e in particolare, dall’ordine forense. Da un lato, per il timore di perdere alcune competenze esclusive su materie che occupavano fino ad oggi solo la scrivania degli avvocati, dall’altro in ragione dei requisiti necessari per l’accesso all’esercizio della professione di mediatore, ritenuti non particolarmente selettivi. Così, da più parti sono stati sollevati dubbi anche per quanto riguarda la professionalità del ruolo, in considerazione sia della eventualità che il mediatore possa agire secondo gli interessi dell’organismo da cui dipende, sia per il timore che possano essere compromessi gli interessi della parte più debole qualora intenda esercitare un suo diritto, benché ove si sia in possesso dei requisiti di reddito richiesti per il gratuito patrocino si è esentati dal versamento dell’indennità dovuta al mediatore.
Inoltre, mentre si avverte il rischio di un imminente corsa alla nuova professione con la sua rapida saturazione occupazionale, è stata segnalata anche sotto il profilo strutturale l’oggettiva carenza dei Tribunali a disporre di aule pronte da adibire all’esercizio della mediazione.
Quale che sia la verità sulla corretta interpretazione dell’istituto e sulla sua evoluzione, oggetto della mediazione sono solo i diritti disponibili, ed il compito del mediatore è esclusivamente quello di favorire l’accordo stragiudiziale tra le parti nel termine di 4 mesi dall’avvio del procedimento, nel tentativo di soddisfare i loro reciproci interessi ma senza che l’attività da lui posta in essere sia per esse vincolante, per approdare così alla competenza del giudice solo in caso di esito negativo della trattativa di conciliazione.
L’entrata in vigore della mediazione risponde dunque al tentativo di rianimare la giustizia civile, impedendo da un lato che sia adito il giudice per fatti perfettamente risolvibili in sede extraprocessuale e dall’altro di conformare l’ordinamento giuridico ai sistemi normativi già vigenti in Europa.
Tuttavia, se l’istituto della mediazione riuscirà ad ottenere il favore della collettività non dipenderà soltanto dalla professionalità del mediatore, ma anche dalla statistica con riferimento all’esito delle trattative, perché se gli oneri economici che importa la mediazione non sono si più gravi di quelli attualmente presenti nel tariffario forense, è pur vero che i tempi della giustizia rappresentano un costo di gran lunga superiore tanto per le parti, quanto per lo Stato.