Cronaca
Mafie del nord, in arrivo il "Caporal sms"
MODENA, 24 OTTOBRE 2011 – La mafia, al nord, non esiste. O almeno questo è quello che credono in molti. E al nord, dicono questi “molti”, si lavora bene. Posto fisso e stipendio in orario. Ma il “posto fisso”, come scriveva qualche giorno fa Laura Galesi sul sito “Terrelibere.org”, è quello di chi sta seduto a casa ad aspettare che qualcuno lo chiami a lavorare. Come a Rosarno, a Nardò e nelle altre zone in cui si lavora sotto caporale. [MORE]
Lo chiamano “caporalato a squillo”, è uno dei modi in cui si crea quel “made in Italy” che in tanti ancora apprezzano ma che di fatto di italiano, sempre più spesso, ha solo l'etichetta. È il sistema su cui si basa l'industria della macellazione o dei trasporti emiliana, così come quella edilizia delle finte partite Iva lombarde. «Qui non emergono fatti eclatanti come quelli di Rosarno» - spiega Umberto Franciosi della Federazione Lavoratori Agroindustria (Flai) della Cgil modenese - «ma la presenza della mafia si manifesta anche attraverso il lavoro nero ed il nuovo caporalato».
Funziona così: un sms avvisa la sera prima i lavoratori migranti della destinazione del lavoro, così da evitare quegli assembramenti di migranti alle prime luci dell'alba che equivalevano a gridare ai quattro venti che in quella piazza si stava esercitando il reato di caporalato. Il vantaggio di un tipo di sfruttamento di questo tipo sono i 12 euro in meno che l'azienda – chiamarla cooperativa suona eccessivo – risparmia per ogni operaio. Molto spesso, data la denominazione sociale, tra i soci compaiono proprio quei migranti che in realtà svolgono un vero e proprio lavoro di subordinazione. «È una filiera viziata» - continua Franciosi - «perché i migranti sono costretti a fare parte di cooperative delle quali sono soci, anche versando solo un euro. Si tratta di una forma anomala di cooperativa, perché i soci non partecipano alle assemblee sociali e non hanno il contratto specifico, ma sono inquadrati come lavoratori che si occupano di logistica. Tra le due tipologie contrattuali c'è una differenza di circa 2mila euro l'anno a livello contributivo e, in quanto soci lavoratori, possono scendere sotto la soglia contrattuale in casi di emergenza».
I caporali del nord si sostituiscono di fatto alle agenzie interinali e le finte cooperative possono, nella più completa illegalità, affittare i propri lavoratori ad altre aziende. Lavoratori che, spesso, si ritrovano a svolgere lavori completamente diversi da quelli per i quali sono stati chiamati.
Nelle aziende di macellazione emiliane, ad esempio, dove un'alta percentuale di lavoratori provengono dallo Sri Lanka, dalla Nigeria, dal Ghana o dai paesi dell'Europa dell'Est, un migrante prende 11 euro l'ora quando dovrebbe prenderne più del doppio. D'altronde che i diritti sindacali nei loro confronti siano pura utopia non è così difficile da capire. Per loro non esistono leggi sulla sicurezza, ed il corso di formazione inizia la prima volta che ti mettono davanti ad una macchina per tagliare le carni, anche se non ne hai mai vista una prima e non sai nemmeno dove si accende. La loro busta paga, netta, è di 1500 euro, ma i due terzi di quella cifra passano come “trasferta Italia” sulla quale non si applicano contributi né premi, e quello che arriva nei loro portafogli non supera mai i 500 euro.
A Milano le cose non sono poi così diverse. Nella capitale del “caporalato sms” tra il 30 ed il 40% della manodopera in edilizia lavora in nero, e quindici lavoratori su cento vengono reclutati tramite i caporali. I manovali migranti in Lombardia prendono dieci euro l'ora per prestazioni straordinarie, notturne o festive, comprese ferie, malattie e tredicesima per i lavoratori rumeni. Ma, stando a quanto già dal 2008 denuncia la Cisl lombarda, nelle loro tasche arrivano meno di cinque euro l'ora.
Il rischio di denuncia, d'altronde, è molto vicino allo zero. Da una parte le ritorsioni mafiose, dall'altra le leggi nazionali in materia di immigrazione costituiscono spesso il doppio cappio di illegalità al quale i migranti sono costretti a sottostare per lavorare.
Andrea Intonti