Mafia e politica: guerra o convivenza? Intervista a Enrico Fierro
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PALAU, 5 AGOSTO 2012 - Enrico Fierro, classe 1951, giornalista e scrittore, scrive per Il Fatto Quotidiano, ha collaborato con La Voce della Campania, Dossier Sud, L’Espresso, Epoca. É stato inviato speciale de l’Unità. Si occupa di reportage e inchieste sulla realtà italiana. La verità è che lo stato italiano non può permettersi il lusso di dire tutta la verità, quella politica e quella giudiziaria, sulle stragi di mafia. L’antimafia dei giornalisti come De Mauro, Fava, Francese, Impastato, Siani e moltissimi altri è la fatica costante della denuncia con i fatti; è molto diverso dal protagonismo antimafia di oggi tra i giornalisti.
Perché ha deciso di intraprendere la carriera giornalistica?
Nella vita precedente avevo insegnato, poi fatto il militante a tempo pieno (si diceva così negli anni Settanta) del Pci. Una scelta quasi obbligata nel Sud per un giovane preso dal sacro fuoco di contrastare il sistema di potere. Dopo una decina di anni di politica, mi sono stancato e ho deciso di interrompere una carriera che prevedeva anche tappe importanti. A quel punto mi sono chiesto cosa so fare, cosa voglio fare. Il giornalista. E ho iniziato prima con La Voce della Campania, poi con Dossier Sud (diretto da Joe Marrazzo), ho scritto per Epoca, L’Espresso e infine per l’Unità, dove ho lavorato per 25 anni prima di passare a Il Fatto Quotidiano.
Ha fondato, con Laura Aprati, il giornale online Malitalia, "perché io sono un uomo libero", libero da cosa e da chi?[MORE]
Intanto Malitalia nasce come mio blog su L’Unità, poi è diventato, grazie a Laura, persona infaticabile, un libro più Dvd, infine un sito che raccoglie gli scritti di tantissimi giornalisti giovani. Ora stiamo tentando di produrre e-book. Ci riusciremo. Libero da chi? Dai condizionamenti del potere, ma anche e soprattutto dai vizi della categoria giornalistica. Oggi molti miei colleghi pensano di essere dei portatori di verità assolute e hanno dimenticato la natura vera del nostro lavoro: girare, vedere, raccontare. Noi non siamo i protagonisti dei fatti che osserviamo, siamo dei mediatori, degli artigiani. I protagonisti sono altri, chi è al centro delle notizie, dei fatti, alcune volte si tratta di furfanti, di mafiosi o di politici collusi, ma spesso (come in questo momento di crisi economica) di lavoratori, uomini e donne che vivono passaggi difficili della loro esistenza. Questi soggetti vanno raccontati con modestia, rispetto e serietà.
Oggi la mafia non è presente solo nelle terre del sud, ma anche al nord. La capitale è Milano, seguita da Roma, mentre Bologna è al terzo posto con Firenze, Genova e Torino. É un fenomeno molto complesso, insito nell’ambito economico, finanziario, sociale, politico e anche lavorativo. Perché, secondo lei, la criminalità organizzata è estesa ormai in tutto il Paese?
Perché le mafie italiane sono intrecciate fortemente col potere. Sono parte integrante del sistema. Come diceva Borsellino mafia e politica si contendono lo stesso territorio, per cui o si fanno una guerra spietata o convivono.
Cosa ne pensa delle intercettazioni tra Mancino e Napolitano?
Una vergogna. Mancino è un normale cittadino sottoposto ad indagini della magistratura, però ha avuto il privilegio di poter interloquire direttamente col Quirinale e chiedere aiuto. La verità è che questo Stato non si può permettere il lusso di dire tutta la verità, quella politica e quella giudiziaria, sulle stragi di mafia.
Il magistrato Antonio Ingroia è stato ufficialmente "promosso" all'Onu e va, tra qualche mese, in Guatemala per un anno perché non ce la fa più ad essere bersagliato dalle critiche della politica. E' chiaro a molti che è un modo per toglierlo dalla Procura di Palermo e, conseguentemente, dalle indagini sulle stragi. Cosa pensa lei a riguardo?
Rispetto Ingroia e dico che in questo Paese molti pretendono atti di eroismo, ne vengono affascinati, li reclamano addirittura. Ma ad una condizione: che l’eroe sia sempre un altro.
Qualche giorno fa, il pentito Gaspare Mutolo ha rilasciato un'intervista al Fatto affermando che Ingroia sa che è meglio andar via, essendo ormai un grande conoscitore della mafia. Era davvero necessaria questa "promozione"?
Ingroia tornerà, il suo incarico è a termine e potrà mettere a frutto le sue conoscenze Su Cosa Nostra. Intanto è utile ricordare che le inchieste sulla trattativa vanno avanti. Una delle lezioni del pool antimafia degli anni d’oro è proprio questa: mai concentrare le inchieste di mafia nelle mani di un solo magistrato.
Il 23 maggio scorso è stato il ventennale della strage di Capaci e il 19 luglio della strage di via D'Amelio, chi sono stati Falcone e Borsellino per lei?
L’Italia migliore, l’Italia del dovere, l’Italia del sorriso amaro, ironico, bello. L’Italia delle speranze tradite dallo Stato e da una opinione pubblica narcotizzata
Il Procuratore Nazionale Antimafia Piero Grasso in occasione dell’iniziativa “Repubblica delle idee”, organizzata dal quotidiano Repubblica a Bologna qualche settimana fa ha affermato che la lotta alla mafia non è un’utopia; con tenacia e determinazione si può sconfiggere, è d’accordo?
Anni fa Domenico Sica, Alto commissario per la lotta alla mafia, disse in tv che la mafia sarebbe stata sconfitta nel Duemila. Fu travolto dalle critiche. L’anno è il 2012 e ne stiamo ancora parlando. Le mafie si sconfiggono se si recide il rapporto col potere e la politica. E questa è l’operazione più difficile da fare. Pensi alle elezioni in Calabria o nell’Agro Aversano, in Campania. Ci vada sotto campagna elettorale, e vedrà scene raccapriccianti. “Da noi venivano persone della politica che avevano si e no una trentina di voti e se ne ritrovavano migliaia”. Lo ha detto recentemente il pentito di ndrangheta Nino Fiume, killer della cosca De Stefano. Andavano da un killer, capisce, e molti di quei politici te li ritrovi nei convegni antimafia. Quelli dove si parla sempre genericamente della lotta alla mafia, spesso sono seduti accanto a magistrati che sanno. La gente li applaude e si lava la coscienza. Pronti a votarli di nuovo. Loro e i boss. Tutti insieme appassionatamente. Così in molta parte del Sud è morta la democrazia. Per questa ragione da un po’ di tempo rifiuto gli inviti a convegni e iniziative antimafia. Voglio evitare di essere complice di un bla bla bla vomitevole. L’antimafia dei giornalisti come De Mauro, Fava, Francese, Impastato, Siani (e l’elenco è lunghissimo, purtroppo) è un lavoro quotidiano di ricerca, raccolta di notizie, articoli, è la fatica costante della denuncia con i fatti. Come vede è altra cosa dal protagonismo antimafia in voga soprattutto tra i giornalisti (anche giovani, mi creda) in questi tempi amari.
Giulia Farneti