Politica
Lodo Mondadori, Fine di un'odissea?
Milano, 9 luglio 2011- E’ arrivata oggi la decisione della seconda Corte d'Appello civile di Milano che ha deciso di condannare Fininvest a pagare complessivamente 560 milioni alla Cir per la questione “Lodo Mondadori”.
Tale importo, comprensivo di capitale, interessi legali maturati dall’ottobre 2009 e spese legali, andranno a Carlo de Benedetti come risarcimento danni per la cosiddetta "Guerra di Segrate".[MORE]
La vicenda ha inizio tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta e vede come protagonisti Carlo De Benedetti e Silvio Berlusconi. Oggetto del contendere, il controllo del Gruppo Editoriale Mondadori.
Infatti, con la morte del presidente della Mondadori, Mario Formenton, comincia un periodo di scontri inerenti alla successione nella conduzione dell’’azienda.
Nel 1988, Leonardo Mondadori cede il suo pacchetto azionario a Silvio Berlusconi. A partire da quel momento, il gruppo editoriale è gestito da tre azionisti: la Fininvest di Silvio Berlusconi, la Cir di Carlo De Benedetti e la famiglia Formenton. De Benedetti, socio ed amico di Mario Formenton, riesce a convincere la famiglia a stipulare un contratto per l’acquisto delle loro azioni, il cui passaggio di proprietà alla Cir si sarebbe dovuto perfezionare entro 30 gennaio 1991.
Tuttavia, nel novembre 1989, i Formenton fanno un cambio di rotta, preferendo Berlusconi il quale, il 25 gennaio 1990, diventa presidente della Mondadori.
De Benedetti, forte dell’accordo contrattuale, subito reagisce. Tuttavia le parti coinvolte non riescono a trovare un accordo, così si è costretti a ricorrere ad un lodo arbitrale al fine di decidere sulla validità o meno del contratto Formenton - De Benedetti.
Il primo verdetto dell’arbitrato, preso dai tre arbitri, Carlo Maria Pratis (Presidente), Natalino Irti (per Cir) e Pietro Rescigno (per la famiglia Formenton) è del 20 giugno 1990.
Il lodo è favorevole alla Cir e dà a De Benedetti il controllo del 50,3% del capitale ordinario Mondadori e del 79% delle privilegiate. Berlusconi perde la presidenza, da poco conquistata, che va al commercialista Giacinto Spizzico, uno dei quattro consiglieri espressi dal Tribunale, gestore delle azioni contestate. A seguito di ciò, Berlusconi e i Formenton impugnano il lodo davanti alla Corte di Appello di Roma, la quale decide che la questione sarà dibattuta presso la I sezione civile presieduta da Arnaldo Valente e composta dai magistrati Vittorio Metta e Giovanni Paolini. Dopo 10 giorni di camera di consiglio, il 24 gennaio 1991, la sentenza viene depositata e resa pubblica. In essa si legge che la prima decisione è stata ribaltata. Per i giudici, l’accordo tra i Formenton e la Cir è in contrasto con la disciplina delle società per azioni e quindi è da considerarsi nullo, come pure il lodo arbitrale.
La presidenza ripassa in mano a Berlusconi. La situazione è ormai compromessa, i direttori e alcuni dipendenti si oppongono alla nuova dirigenza e questo induce l’allora presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, ad intervenire chiedendo alle parti di trovare un nuovo accordo.
A questo punto entra in scena Ciarrapico che ha il compito di fare da moderatore fra le parti. Nell'aprile 1991, Fininvest e Cir-De Benedetti raggiungono un accordo: in sostanza, in esso, la casa editrice Mondadori, Panorama ed Epoca vengono assegnate alla Fininivest di Belusconi, che riceve anche 365 miliardi di conguaglio, mentre il quotidiano La Repubblica, il settimanale l'Espresso e alcune testate locali a Cir-De Benedetti. Questo sembra porre la parola fine a tutta la vicenda.
Invece, nel 1995 la Procura di Milano,a seguito delle dichiarazioni di Stefania Ariosto, compagna di Vittorio Dotti, avvia un nuovo procedimento. In sostanza l’Ariosto parla di tangenti a giudici romani. Afferma che tra Cesare Previti, avvocato Fininvest, e i giudici Arnaldo Valente e Vittorio Metta, intercorre un rapporto d’amicizia. Dalle indagini svolte dai magistrati milanesi Ilda Boccassini e Gherardo Colombo, si riesce a scoprire un giro di bonifici, estero su estero, che partendo da Fininvest, arrivano a Lugano sul conto “Mercie” aperto da Previti. Da qui i soldi transitano su altri due conti svizzeri che fanno capo agli avvocati Giovanni Acampora e Attilio Pacifico, per poi giungere al destinatario finale che, secondo l’accusa, è Vittorio Metta, il giudice del Lodo. Tutto ciò fa sì che Previti e Metta vadano a processo, mentre Berlusconi fa un altro percorso in quanto per lui l’accusa è di corruzione semplice, la quale cade in prescrizione nel 2001.
La sentenza di primo grado arriva il 29 aprile 2003: 11 anni per Previti, 13 per il giudice Metta. Tutti accusati di corruzione in atti giudiziari per una sentenza 'comprata' con 400 milioni di vecchie lire provenienti da conti esteri riconducibili alla Finivest. Un impianto accusatorio via via confermato in tutti i gradi di giudizio fino al verdetto definitivo che arriva nel luglio del 2007 dalla Cassazione.
Una volta passata in giudicato la faccenda penale, si passa alla causa per il risarcimento dei danni economici. Il primo verdetto si raggiunge nell'ottobre 2009. In esso si legge: “ la sentenza del 1991 della Corte d'appello di Roma è stata una sentenza ''ingiusta'' e perciò Fininvest deve risarcire 749,9 milioni di euro alla Cir riconoscendole un ''danno patrimoniale da perdita di chance di un giudizio imparziale''.
La Fininvest presenta appello e ottiene, davanti ai giudici di secondo grado, la sospensione dell'esecutività della sentenza del Tribunale che viene 'congelata' fino ad arrivare ad oggi.
Come si legge nelle circa 300 pagine di motivazioni, "Con Metta non corrotto il lodo sarebbe stato confermato. Dunque, la Cir subì un danno immediato e diretto dalla sentenza Metta, e non una semplice perdita di cianche come aveva stabilito il giudice Raimondo Mesiano: la corruzione di Metta ha privato Cir, non tanto della chance di una sentenza favorevole, ma, senz'altro, della sentenza favorevole, nel senso che, con Metta non corrotto, l'impugnazione del lodo sarebbe stata respinta”.
Questa volta, il verdetto d'appello è immediatamente esecutivo, ciò vuol dire che la Cir, non appena avrà in mano le copie "registrate" della sentenza firmata, potrà riscuotere l’importo. Intanto, Fininvest ha già preannunciato ricorso in Cassazione, a cui chiederà la sospensione del provvedimento in attesa del pronunciamento definitivo della Suprema Corte. Tuttavia non è detto che gli venga concessa.
Rosy Merola