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L'India sta perdendo la battaglia contro la tubercolosi?

 MUMBAI, 21 NOVEMBRE 2013 - I giorni in cui Rafael Hasta tossisce sangue, suo figlio Samuel gli dà purea di papaya con riso bollito e tè rosso. Hasta si rifiuta di mangiare qualunque altra cosa. Diagnosticatagli la tubercolosi tre anni fa, Hasta – di Assam, nell’India nordorientale – ha ricevuto visite mediche solo quattro volte. Samuel, 28 anni, ha noleggiato un carretto di legno e lo ha portato all’ospedale pubblico nella città di Kokrajhar.

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Perdo una giornata di lavoro, attendo per circa due ore, e il medico incontra mio padre per soli cinque minuti e non spiega mai niente”, dice. La visita è gratuita, ma i raggi e le medicine costano 15 dollari. Frugando sotto il letto, Samuel tira fuori quattro prescrizioni sgualcite e due radiografie sbiadite. Con i 3 dollari che guadagna al giorno come operaio, Samuel sfama sei persone. I farmaci per il padre sono “semplicemente impossibili”.

Timoroso che la malattia possa trasmettersi, Samuel ha costruito un capanno con bambù, stagno e un telone per il padre. “Voglio prendermi cura di lui, solo che non so come”, dice, stringendo le esili mani del papà.

Molti come Hasta non beneficiano ancora del più grande programma d’assistenza gratuita a livello mondiale per la tubercolosi che l’India porta avanti. L’India ha il più alto indice di malati di tubercolosi, che raggiunge il 26% dei casi mondiali. È la malattia infettiva più mortale in India, e l’aumento della resistenza ai farmaci spinge molti a chiedersi se il paese si dibatte per porre un freno al problema.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel rapporto del 2013 sulla tubercolosi nel mondo, 8,6 milioni di persone hanno sviluppato la malattia e 1,3 milioni ne sono morti nel 2012.

Le misure adottate dall’India per combattere la tubercolosi sono lodevoli, ma le condizioni di vita della popolazione e un sistema sanitario barcollante rende vano qualsiasi sforzo, dicono gli esperti. E la scala del flagello rimane spaventosa: ogni tre minuti, due persone muoiono di tubercolosi in India, e uno su quattro pazienti malati di tubercolosi nel mondo è indiano.

Per due decenni, il governo indiano ha fornito corsi di DOTS (Directly Observed Treatment), in accordo con il Programma Nazionale per il Controllo della Tubercolosi (RNTCP), che attualmente è sottoposto a circa 1,5 milioni di pazienti del settore pubblico. Ma circa la metà poi preferisce rivolgersi al settore privato, che non prevede i controlli per la malattia. Sottoporsi al DOTS può salvare la vita, ma non può arginare il contagio: “nel mentre i pazienti vengono controllati dal DOTS, hanno probabilmente infettato molti altri”, spiega Madhukar Pai, direttore associato presso il Centro Internazionale McGill.

Condizioni di vita precarie, la malnutrizione, il sovraffollamento, l’inquinamento dell’aria, l’AIDS e il diabete aumentano il rischio di contrarre la tubercolosi in India. Pai dice che gli investimenti sulle nuove tecnologie sanitarie in India sono stati deludenti. Paesi come il Sudafrica o il Brasile hanno cominciato a sperimentare nuovi test e nuovi farmaci, mentre l’India è ancora lontana dal prendere una benché minima decisione coraggiosa.

L’OMS dice che c’è un deficit di 2 miliardi di dollari l’anno, nei finanziamenti erogati per dare una risposta incisiva all’epidemia di tubercolosi globale. Non la pensano così i funzionari della sanità indiani, che piuttosto affermano che non ci sono lacune nel finanziamento, che il controllo della tubercolosi in India è un successo ed è aumentato del 300% nel dodicesimo piano quinquennale, rispetto a quello precedente, e che la spesa per la ricerca è aumentata dell’80% rispetto all’anno scorso.

Fonte: aljazeera.com

Foto: aljazeera.com

Dino Buonaiuto