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Le visioni di David LaChapelle "dopo il Diluvio"
ROMA, 12 SETTEMBRE 2015 – Ultimo weekend per visitare nella capitale, al Palazzo delle Esposizioni, l’ampia retrospettiva David LaChapelle, dopo il Diluvio, dedicata a uno dei fotografi più visionari e apprezzati della scena contemporanea - fino a domani 13 settembre.[MORE]
A cura di Gianni Mercurio, la mostra ripercorre le linee creative del celebre artista statunitense, dagli esordi alla produzione più recente, attraverso un viaggio ai limiti della realtà, tra «sogni post-pop» (o incubi!), «sperimentazioni surrealiste e astrattiste», che proiettano il visitatore in una dimensione in cui regnano l’eccesso e il paradosso, specchio della “società dell’immagine”: «le scene cui LaChapelle ci ha abituato – spiega il curatore – riflettono una molteplicità di combinazioni inedite, non soggette alla linearità delle sequenze logiche o temporali, contrassegnate da un intreccio di segmenti narrativi che spesso sfociano nel conflitto di senso e nel cortocircuito visivo».
Una selezione di oltre cento opere, impreziosita da alcuni lavori inediti e da filmati di backstage esplicativi del processo di produzione, anima le otto sezioni del percorso espositivo romano, in cui sfilano scatti di grande formato, ritratti di personaggi dello star system internazionale o della politica (immortalati dal 1995 al 2005), serie note, barocche e a tratti inquietanti, come Natura morta, Negative Currency, Car Crash, Hearth Laughs in Flowers, Aristocracy, in cui si rileva l’assenza della figura umana che lascia spazio a una nuova poetica, alla denuncia della realtà, talora affidata a centrali industriali e a stazioni di rifornimento immerse nelle foreste pluviali, come nelle serie Land Scape e Gas Stations.
«Nei cicli fotografici dell’artista – annota G. Mercurio –, temi come la catastrofe, la decadenza, la vanitas, la malattia, la morte, la pietà trovano massima enfasi mescolandosi a quelli del consumismo e delle nevrosi compulsive, dei feticismi e delle ossessioni narcisiste. Con essi la rivisitazione della storia dell’arte compone un potente dispositivo di riflessione perché sovrappone l’estasi della visione, tipica delle grandi opere del passato, alla registrazione lucida del presente, del dramma di un’umanità in cerca della ragione della propria esistenza».
Non mancano i rimandi al trascendentale, in opere emblematiche e dissacranti (ospitate nella sezione Il mio Gesù privato) come Pietas, The Beatification series e American Jesus, ma la parte del leone spetta alla monumentale serie The Deluge (il Diluvio), realizzata nel 2006, all'interno dell'omonima sezione.
L’opera segna una svolta sostanziale per il fotografo di Fairfield, allievo di Andy Warhol: «con la realizzazione del Diluvio, ispirato al grande affresco michelangiolesco della Cappella Sistina, LaChapelle – osserva il curatore nel testo critico che accompagna il catalogo della mostra – torna a concepire un lavoro con l’unico scopo di esporlo in una galleria d’arte, un lavoro non commissionato e non destinato alle pagine di una rivista di moda o a una campagna pubblicitaria». In The Deluge, «LaChapelle dà tangibilità al racconto della fine e della rinascita fissandolo in una scena congelata che parla di naufragio e di salvezza. Costruisce un imponente e complicato impianto scenografico degno di un maestro del manierismo classico, un set da colossal dove uomini e donne, giovani, vecchi, bambini si aggrappano ai relitti di un mondo che affonda tra le sue stesse insegne e formano una catena di nodi plastici perfettamente definiti, scolpiti. Intorno a essi i simboli dell’establishment internazionale crollano come templi consacrati al vuoto».
Domenico Carelli
(Fotogallery, courtesy Ufficio Stampa Palazzo delle Esposizioni: LACHAPELLE_01 Deluge, 2006 Chromogenic Print ©David LaChapelle; LACHAPELLE_02 Cathedral, 2007 Chromogenic Print ©David LaChapelle;LACHAPELLE_03 Job, 2007 Chromogenic Print ©David LaChapelle; LACHAPELLE_04 Museum, 2007 Chromogenic Print ©David LaChapelle)