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Le tubazioni devono rispettare le distanze?

REGGIO CALABRIA, 31 MAGGIO - La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10618/2016, depositata il 23 maggio, ha stabilito che la canna fumaria non è una costruzione ma un semplice accessorio di un impianto e, quindi, non trova applicazione la disciplina di cui all’art. 907 c.c.  [MORE]


In base all’applicazione di tale principio, la Suprema Corte, con la citata sentenza, decideva definitivamente una lite tra due vicini di casa, il primo dei quali aveva adito il Tribunale di Massa chiedendo la rimozione di due canne fumarie poste, secondo lui, non a distanza regolamentare.


La Corte di legittimità respingeva il ricorso e nel motivare la propria decisione sottolineava che la censura mossa dagli attori, secondo i quali le canne si trovavano davanti alle proprie finestre a distanza inferiore di quelle previste dalla legge, dovesse essere respinta in quanto le canne fumarie, essendo semplici tubi in materiale metallico, non possono essere annoverate tra le costruzioni la cui distanza dagli edifici è regolata dalla disposizione di cui all’art. 907 c.c. A nulla rileva il fatto che le suddette canne fumarie si trovino a poca distanza dalle luci o vedute degli attori.


Altresì, i ricorrenti lamentavano che il Tribunale avesse anche errato nel non dare rilievo al fatto che le immissioni provocate dalle canne fumarie sono di per sé nocive e, pertanto, andrebbero vietate ai sensi dell’art. 844 c.c. senza che sia necessario accertare se, in concreto, via sia o meno il superamento della “normale tollerabilità” previsto dalla citata norma. Anche su tale punto, il ricorso veniva respinto dagli Ermellini che accertavano che la Corte genovese, sulla base degli accertamenti peritali, avesse rilevato il rispetto del dettato del piano regolatore della città di Carrara sotto il profilo della dispersione dei fumi e, conseguentemente, avesse escluso il rischio di danni alla abitazione adiacente. La Suprema Corte osservava che “quanto al tema delle immissioni di cui all’art. 844 c.c. la valutazione della tollerabilità, ove adeguatamente motivata nell’ambito dei criteri direttivi indicati dal citato art. 844 c.c., con particolare riguardo a quello del contemperamento delle esigenze della proprietà privata con quelle della produzione, costituisce accertamento di merito insindacabile in sede di legittimità”. Anche su tale punto, quindi, il ricorso veniva respinto.


Infine, la Suprema Corte censurava gli altri punti del ricorso sulla base del citato principio di diritto e osservava che il giudice di legittimità non abbia il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale, bensì solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale “spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti”.


Avvocato Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express