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Le origini del Libro nero della rivoluzione: intervista ai Freak Opera
VTERBO, 16 GENNAIO 2015 - Il secondo disco della band di Pompei è stato pubblicato ieri. I Freak Opera confermano anche questa volta l'autoproduzione del proprio lavoro così come per Libro nero della rivoluzione. A rispondere ad alcune nostre curiosità sulla band e su Restate umani è Rocco Traisci, cantante ed autore dei testi.
Buona lettura!
Presentate il progetto dei Freak Opera.
Siamo nati tre anni fa. All’inizio pensavamo di mettere su una cover band, poi ci siamo resi conto che stavamo invece scrivendo e suonando canzoni che non esistevano ma che ci piacevano molto. Erano le nostre.
Dal vivo proponete del teatro-canzone, come nasce questo spettacolo e perché?
Il nuovo show è molto tirato e non c’è molto spazio per la rappresentazione. Ma per i concerti acustici in atmosfere particolari cerchiamo anche di sfruttare testi teatrali, insieme alla reinterpretazione di canzoni italiane degli anni 60. E‘ una trovata scenica che funzionava con il primo disco, nonostante sul palco continui ad esserci il vero frontman della Freak Opera, che è Antonio Mosca, seduto ad un tavolino a servire bicchieri di vino con l’immancabile lavagnetta e il physique du rohle dell‘oste di campagna. Con l’aiuto del pubblico, lancia messaggi alla sala, commenti sul pezzo e sul cantante, che viene sistematicamente dissacrato nell’austerità delle pose e delle parole. Utilizziamo un linguaggio molto poco napoletano, anzi di napoletano c’è ben poco e questo aspetto di contrapposizione lo evidenziamo grazie alla gestualità dell’oste, molto poco minimal rispetto allo stile della band.
[MORE]Il libro nero della rivoluzione lo considerate "fase immediatamente successiva" a Restate umani. Ma volendo fare una sintesi tra i vostri due lavori, qual è il messaggio che volete far arrivare all'ascoltatore?
Non ci sono messaggi. Questi due dischi non sono concept album e il fine ultimo è quello di dare continuità alle parole. Restate Umani si è rivelato una sorta di grido esistenziale, di riscoperta delle nostre capacità espressive, si è trattato di marcare la differenza tra la necessità di creare è quella di distruggere. Non dimentichiamoci che non veniamo da Belluno, siamo in piena area vesuviana, a sud di Napoli, a Pompei dove le rovine sono una ricchezza mal sfruttata e dove non funziona nulla. Il Libro Nero è un disco di rottura, situazionista, molto aggressivo, dove abbiamo voluto creare il cosiddetto effetto Velvet Underground nelle chitarre, marcando la nostra natura vintage. È anche un omaggio alla cultura punk, di cui molti parlano ultimamente senza avere l'età per farlo. Il "libro" è la fase della piena consapevolezza. Prima di una rivoluzione qui è importante capire chi è davvero contro lo status quo, chi non è "pronto" e chi ostacolerà qualsiasi processo di autodeterminazione rispetto a fenomeni invasivi come la camorra e la cattiva politica. Non abbiamo preoccupanti fenomeni "destrorsi" ma ancora una latente mentalità piccolo-borghese che non ci permette di uscire fuori da determinati schemi di pensiero, di leggere cose nuove, di studiare e di capire come va davvero il mondo che non ci piace.
Quanto e se influisce nella vostra musica il fattore della territorialità?
Personalmente non influisce affatto. Come ho detto non siamo un gruppo tipicamente napoletano, nel modo di pensare, nel modo di esprimersi, di scrivere e di cantare. Ti assicuro che la mancanza di elementi folk tipici, come il dub e il dialetto non ci aiuta da queste parti.
Perché avete confermato anche con il secondo disco la strada dell'autoproduzione?
Perché non esistono più le etichette discografiche. Oggi, attraverso i social e le piattaforme musicali, è possibile promuovere un disco e farlo ascoltare senza "chiammisti“, senza gente che fa un fischio e dice: "Hey ascolta questa roba, è forte“. Abbiamo tentato di intrecciare un discorso di management con Freak House Records, ma nonostante gli sforzi profusi non siamo riusciti davvero a capire che lavoro fare, sia noi sia loro. A me queste sembrano strutture molto pesanti, in difficoltà, destinate a scomparire.
Dato che "il passato fa schifo", cosa avete in serbo per il futuro?
Creare una scena musicale: abbiamo tanta gente che suona, che scrive, che fa teatro. I tempi sono maturi, però niente boss o promoters, è una cosa che deve partire da noi. Produzioni comprese.
Salutate i lettori di GrooveOn consigliandogli tre album da ascoltare?
Sicuramente Edda“Adesso come mi ammazzerai“ (con cui divideremo il palchetto di Ferro 3 a metà febbraio) e Gentlemen Agreement “Apocalypse Town“. Il terzo è il nostro. Decisamente.
Federico Laratta
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