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Le immagini di Plank: biglietto d'accesso per l'Universo

L'impazienza, le ansie, i numerosi sforzi alla fine sono stati premiati. L'11 gennaio è stato reso noto il primo catalogo di sorgenti compatte individuate dal satellite Planck il satellite della agenzie spaziale europea ESA e successore di WMAP, il satellite a cui abbiamo accennato nello scorso articolo. L'Early Release Compact Source Catalogue (ERSC) è più che una semplice mappa delle fonti più luminose del nostro Universo: ogni puntino luminoso della figura che accompagna l'articolo ha caratteristiche peculiari. Tutti gli oggetti, più di 15 mila, sono stati "schedati" con tanto di posizione, tipologia, luminosità e dulcis in fundo anche di una foto! E l'Italia ha avuto un ruolo chiave sia dal punto di vista scientifico che tecnologico.

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Ill gruppo di Cosmologia del Dipartimento di Fisica dell'Universita' di Milano, in collaborazione con ricercatori dell' INAF e del CNR e con l'Industria Spaziale dell'area milanese, ha, infatti, partecipato in modo determinante nella realizzazione di uno dei due strumenti a bordo di Planck e nella preparazione dell'analisi scientifica dei dati della missione.

Ma che tipo di sorgenti sono? Sono singoli oggetti luminosi, veramente molto luminosi; sono galassie (un centinaio di miliardo più luminose di una stella media come il Sole), ammassi di galassie (un centinaio di miliardo più luminose di una galassia media come la nostra, la Via Lattea), nuclei galattici attivi (buchi neri al centro di galassie che inglobando materia producono una luminosità un milione di volte quella del Sole che si va ad aggiungere a quella della galassia che lo ospita) e molto altro ancora.
Le sorgenti hanno le nature più varie, e molte, fra esse, sono sconosciute anche ai più grandi esperti del settore: Reno Mandolesi, associato INAF e responsabile di Planck LFI (Low Frequency Instrument) project, in una intervista per la testata giornalistica web dell'INAF dichiara che visto il numero e l'incredibile completezza del catalogo, lo studio delle mappe di Plank darò lavoro per anni a tutti i ricercatori addetti ai telescopi da Terra e a quelli nello spazio.
Tale completezza è stato raggiunta grazie ad un analisi su nove frequenze diverse dello spettro elettromagnetico, da 30 GHz a 857 GHz:l'occhio umano riesce ad analizzare solo la banda visibile dello spettro, tra i 400 e i 790 THz. Con i telescopi ottici, che lavorano anch'essi in questa banda, riusciamo a vedere solo la "crosta superficiale dell'Universo", ovvero le stelle e le galassie più vicini a noi e perciò più vecchie. Planck con il suo potere risolutivo e l'ampio intervallo di ricezione della radiazione, che va dal radio all'infrarosso è, invece, in grado di scavare al di là di questa crosta, osservare i più lontani luoghi dell'Universo e risalire indietro nel tempo, svelando galassie più lontane e perciò più giovani.
Tanto giovani che sono ancora nella fase di formazione. Si spera perciò che grazie alle sue rivelazioni si possa capire di più su come si siano formate e come evolvano nel corso dei millenni.

Il lavoro più atteso di Planck riguarda però un altro elemento fondamentale per capire la struttura dell'Universo: la radiazione cosmica di fondo a microonde (CMBR - Cosmic Microwave Background Radiation). Essa è la più antica luce dell'Universo, ciò che rimane della palla di fuoco dalla quale il nostro Universo ha avuto inizio, circa 13.7 miliardi di anni fa.
Questo disegno a microonde è il progetto cosmico che sta dietro alla costruzione degli attuali ammassi e superammassi di galassie. Attorno alle minuscole irregolarità di questa luce primordiale si sono mano a mano formate regioni più dense, primi semi delle odierne galassie.

Entro la fine del 2012, termine della missione, Plank avrà completato quattro ricognizioni dell'intero cielo. Proprio per il 2012 avverrà, secondo il programma dell' ESA, il rilascio del primo insieme completo di dati della CMBR. Sarà in questa data che si avrà la più completa e la più antica immagine dell'origine di tutto ciò che ci circonda.

Fonte: NASA, ESA, INAF

Fonte foto: INAF