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Le continue richieste di atti sessuali costituiscono violenza sessuale?

16 NOVEMBRE 2015 Nel nostro ordinamento il reato di violenza sessuale è previsto e punito ai sensi dell’art. 609 bis c.p. che stabilisce: “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.  [MORE]


Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; 2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi”.

Ci si è chiesti se le continue e non corrisposte richieste sessuali configurano il reato di volenza sessuale.

A tale quesito, recentemente, ha risposto la Suprema Corte di Cassazione che, con sentenza n. 41214/2015, depositata il 14 ottobre, ha così stabilito: “Integra il reato di violenza sessuale la condotta di colui che, all’esplicito rifiuto di consumare un rapporto sessuale, reiteri più volte la richiesta ponendo in essere violenza o minaccia che, sebbene non comportino una immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima, siano comunque chiaramente finalizzate a tale scopo”.

Il caso in esame riguardava il reato di violenza sessuale e lesioni nei confronti di una prostituta che si era rifiutata di avere una prestazione sessuale. A differenza del Tribunale di Torino che aveva considerato gli atti come una ritorsione per il rifiuto della vittima e pertanto privi di “valenza sessuale”, la Corte di legittimità ha ritenuto che le modalità dell’azione violenta, e addirittura ritorsiva (percosse e minacce a seguito di rifiuto), denotavano con tutta evidenza la finalità di soddisfare i propri istinti, indipendentemente dal consenso della vittima, ripetutamente ed inequivocabilmente negato. L’azione, di fatto, non si era potuta consumare solo ed esclusivamente per l’intervento di soggetti terzi e non per volontà del reo, tuttavia gli atti posti in essere erano sicuramente idonei e diretti in modo non equivoco ad ottenere una prestazione sessuale.

In realtà, ciò che importa, al fine della sussistenza del reato de quo, è che la condotta posta in essere abbia violato la capacità di autodeterminazione sessuale della vittima stessa. Pertanto, quando il contenuto delle esplicite richieste non può essere interpretato in maniera diversa, non ha alcuna rilevanza la circostanza che la sopraffazione fisica della vittima non abbia coinvolto zone tipicamente erogene. In conclusione, ai fini della configurabilità del reato de quo, non è richiesta necessariamente una concreta ed effettiva ingerenza nella sfera fisica della vittima, dal momento che basta che l’agente reiteri più volte la richiesta nonostante il rifiuto, con la conseguente violenza e minaccia al fine di ottenere il risultato voluto.

Avv. Anna Maria Cupolillo Staff Giuridico Avvocato Express