Editoriale
Le armi uccidono?
ROMA, 18 DICEMBRE 2012 - La domanda è certamente retorica e la risposta non può che essere affermativa. Nonostante le evidenze, però, un'ampia percentuale di popolazione statunitense non sembra esserne così convinta. «Le armi non uccidono. Le persone uccidono», è una delle argomentazioni maggiormente utilizzate da chi negli Stati Uniti sostiene che il possesso di armi sia un diritto costituzionalmente garantito. Di tanto in tanto, tuttavia, capita che qualche cittadino statunitense in pieno diritto di possedere armi, decida di usarle. E di farlo contro cittadini inermi. Il caso del massacro compiuto all'interno di una scuola di Newtown, cittadina del Connecticut definita dai suoi stessi abitanti “il luogo più sicuro del mondo”, non è che l'ultimo di una serie di massacri compiuti ai danni di cittadini inermi, bambini compresi. In questo caso le vittime sono state 26, di cui 20 bambini.
Come già accaduto tante altre volte anche nel passato più recente, anche in questo caso al massacro seguono parole di cordoglio, fiaccolate, richieste e promesse di far qualcosa affinché stragi di questo tipo non accadano più. E, com'è ovvio e doveroso, alle stragi seguono i dibattiti tra chi vorrebbe una legislazione sulla detenzione di armi più restrittiva e chi, al contrario, sostiene una legislazione più permissiva, nonostante non sia raro che i secondi accusino i primi di strumentalizzare politicamente una disgrazia.
Come si può osservare in una mappa realizzata da Mother Jones, dal 1982 al 2012 negli Stati Uniti si sono avuti sessantadue omicidi di massa compiuti con armi da fuoco. Nella maggior parte dei casi le armi erano possedute dagli assassini in modo assolutamente legale. Ma, a differenza di quanto potrebbe sembrare ovvio a chi, leggendo le cronache, osserva le vicende dall'esterno e, nel nostro caso, dall'estero, il susseguirsi di stragi simili a quest'ultima negli anni più recenti non sembra aver spostato l'opinione dei cittadini americani in favore di una legislazione più restrittiva. Anzi, è accaduto l'esatto contrario. L'opinione pubblica statunitense, infatti, vede con sempre meno favore la necessità di un intervento restrittivo sulla detenzione di armi da parte di civili.[MORE]
Secondo quanto rilevato dal The Atlantic comparando una serie di sondaggi svolti tra gli anni Novanta e il settembre di quest'anno, la forbice tra chi ritiene più importante un intervento restrittivo sulla detenzione delle armi e chi, al contrario, sostiene che sia più importante difendere il diritto di possederne, si è ristretta progressivamente. Indipendentemente dalle stragi. In base alle ultime rilevazioni, il numero di cittadini americani favorevoli a leggi più restrittive è ormai sostanzialmente pari a quello di chi rivendica il diritto a possedere armi.
Il nocciolo della questione, almeno nel dibattito statunitense, sta proprio del diritto di ogni cittadino a possedere armi. Diritto, si sostiene, garantito dal Secondo emendamento: «Poiché una milizia ben organizzata è necessaria alla sicurezza di uno stato libero, il diritto dei cittadini a detenere e portare armi non potrà essere violato». In principio e almeno fino agli anni Settanta, tale diritto era stato interpretato generalmente come “diritto collettivo”, cioè come diritto di una “milizia ben organizzata” a proteggere lo Stato con le armi. Praticamente non esisteva alcun dibattito sul diritto personale di possedere armi. Nell'ultimo trentennio, però, numerose sentenze hanno interpretato questo emendamento in modo diverso, sostenendo che esso garantisca non solo il diritto collettivo alla detenzione di armi, ma anche il “diritto individuale”. Senza la pretesa di addentrarsi in diatribe giuridiche, ma prendendo per corretto quanto diversi tribunali statunitensi hanno stabilito affermando che il possesso di armi sia diritto di ogni singolo cittadino, sembra tuttavia lecito porsi un quesito: la garanzia costituzionale di possedere un diritto rende quello stesso diritto giusto ed eticamente accettabile? Ragionando per assurdo – ma non troppo – se una costituzione garantisse il diritto di ogni cittadino di possedere degli schiavi, significherebbe forse che rendere in schiavitù un essere umano sia un comportamento accettabile?
Eppure l'argomentazione è tra le più forti e frequenti tra i sostenitori del libero possesso di armi. Negli ultimi anni, anzi, la giustificazione principale per chi sostiene leggi permissive sull'utilizzo delle armi è proprio il fatto stesso che essa sia un diritto costituzionalmente garantito. Lo dimostra un'analisi svolta recentemente da Nate Silver utilizzando come fonte il database Newslibrary.com. In base a questa rilevazione, negli ultimi anni sui media è aumentata notevolmente la frequenza di utilizzo di alcune espressioni, che fino a qualche anno fa non erano particolarmente utilizzate. In particolare, rispetto all'inizio degli anni Novanta, è aumentato l'utilizzo delle espressioni “diritto alle armi” (gun rights) e “secondo emendamento” (Second Amendment), mentre è diminuito l'utilizzo dell'espressione “controllo sulle armi” (gun control), più frequente in passato.
A ben vedere, però, non è stato sempre così. Lo scorso aprile, Jill Lepore ha pubblicato sul New Yorker un'inchiesta sulla diffusione delle armi tra le famiglie americane, evidenziando, tra le altre cose, come negli Usa siano in circolazione tra i civili quasi 300 milioni di armi [1]. In media, una a testa. Nella stessa inchiesta, Lepore ha ricostruito le origini dell'attuale dibattito, osservando come e quando ha cominciato ad essere sempre più frequente l'utilizzo dell'argomentazione retorica secondo la quale possedere un'arma sia diritto di ogni americano. L'origine del dibattito generale sul possesso delle armi risale all'omicidio del presidente Kennedy (1963), in seguito al quale furono varate alcune misure restrittive sul possesso delle armi da parte dei civili, misure che vedevano concordi praticamente tutti, compresi coloro che oggi sono tra i più accaniti sostenitori del diritto alle armi. Tra di essi, anche la National Rifle Association (NRA), nata come associazione sportiva e diventata negli anni una delle maggiori sostenitrici della libertà di possesso di armi.
Attuale presidente della NRA è David Keene, il quale per diversi anni è stato consulente di vari esponenti del partito repubblicano. Fu lui, ad esempio, a dirigere la campagna elettorale di Ronald Reagan nel Sud degli Stati Uniti, prima della sua elezione a presidente. Reagan fu il primo presidente ad avere l'appoggio diretto della NRA e, secondo la ricostruzione della Lepore, è da quel momento che sul piano legislativo e nel dibattito pubblico si fa sempre più pressante l'argomentazione secondo la quale il possesso di armi sia un diritto costituzionalmente garantito. Tale argomentazione prosegue insistente anche oggi e, come abbiamo visto, l'opinione pubblica sembra averla accettata talmente bene che il numero di cittadini a favore di un controllo più restrittivo è pressoché identico al numero di quelli contrari.
C'è un ulteriore dato, diffuso dalla CNN e ripreso pochi giorni fa in Italia dalla rivista Internazionale, che dovrebbe far riflettere. In seguito alla recente rielezione di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti, la vendita di armi nel paese è aumentata notevolmente e, in particolar modo, è cresciuta la vendita di fucili semiautomatici. Secondo la CNN ciò è dovuto al timore che l'attuale presidenza democratica possa inasprire la legislazione sulla detenzione di armi. Detto in altre parole, molti cittadini hanno paura che norme più stringenti possano rendere più difficile l'acquisto di armi in futuro e, per questo, stanno facendo scorta in vista dei “tempi bui” che verranno. Una situazione simile, d'altra parte, si era verificata anche in seguito alla prima elezione di Obama, quattro anni fa.
Ciò non stupisce più di tanto, se si considera che una delle argomentazioni utilizzate a favore del libero possesso di armi è che esse aumentano la sicurezza generale. In sostanza, secondo tale argomentazione, le vittime di una delle tante stragi compiute negli ultimi anni avrebbero potuto salvarsi se fossero state esse stesse armate. Si tratta, com'è evidente, non solo di un totale rifiuto della sicurezza pubblica a favore di un concetto tutto privato di sicurezza – il quale, tuttavia, non è avulso dal contesto ideologico nel quale nasce, cioè nel massiccio e crescente rifiuto dell'intervento statale nella vita dei cittadini, sicurezza compresa – ma anche di una non troppo velata, per quanto sempre censurabile, colpevolizzazione delle vittime.
Diritto costituzionale, armi che non uccidono, aumento della sicurezza. Sono queste le argomentazioni più frequenti utilizzate dai sostenitori della libera detenzione di armi. Tutto pur di non ammettere che le cause degli omicidi di massa, e delle stragi di cui quasi sicuramente sentiremo ancora parlare, sono proprio le armi e la facilità con cui possono essere reperite e, purtroppo per le vittime, utilizzate.
Serena Casu
[1] La traduzione in italiano si trova sul numero 964 del settimanale Internazionale.
(Immagine di Jessica Hill - AP)