Laureato è meglio? Un giovane italiano su quattro non la pensa così
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Bolzano, 16 maggio 2011 - Non è passata che qualche settimana dalla pubblicazione degli ultimi dati di Almalaurea sull’allarmante crollo delle immatricolazioni nelle università italiane (ben 260000 iscritti in meno rispetto a cinque anni fa); stavolta ad offrire importanti spunti di riflessione al mondo accademico del nostro Paese ci pensa un’indagine di Eurobarometro, condotta su 30000 ragazzi europei tra i 15 e i 35 anni, per comprenderne aspettative e timori riguardo al futuro. Stando a quanto emerge dai risultati finali, in Italia il 38% dei ragazzi intervistati (contro una media europea del 20 % ) non considererebbe l’istruzione universitaria una soluzione appetibile per la carriera successiva. [MORE]
Ed è una magra consolazione pensare che anche il 23 per cento degli intervistati spagnoli, nonché il 35 per cento dei francesi la pensi come la maggioranza dei nostri connazionali interpellati a proposito. Bisognerebbe piuttosto cominciare a chiedersi quali siano le motivazioni di un divario tanto importante tra le cifre registrate in casa nostra, che ci proiettano in cima alla classifica dei più disillusi, e quelle di Paesi come la Norvegia, la Danimarca,la Germania, il Belgio o l’Olanda, dove una formazione universitaria è ancora considerata un’opportunità concreta per chi sogna di fare strada nel mondo del lavoro.
Osservando il quadro generale europeo, è abbastanza incoraggiante notare che i giovanissimi sono più fiduciosi dei loro colleghi nella fascia 25-35 anni riguardo le possibilità aperte dall’opzione laurea. Le preoccupazioni maggiori riguardo al futuro, in Italia come nel resto d’Europa, restano indubbiamente legate alle difficoltà nel trovare un’occupazione; si teme di doversi spostare dalla propria città o regione di origine, di doversi accontentare di un impiego che non abbia nulla a che fare con il proprio percorso formativo (possibilità indicata come la prima fonte di ansia da quasi la metà degli intervistati italiani), di non riuscire a raggiungere l’indipendenza economica con il proprio stipendio, di non conoscere veramente le offerte disponibili sul mondo del lavoro. A tal proposito, è significativo notare che i giovani italiani sono secondi solo ai turchi nell’esprimere la disapprovazione verso le proposte di orientamento ricevute durante il percorso scolastico sulle opportunità formative successive e sugli sbocchi professionali.
Meno flessibili dei propri coetanei europei, solo il 14,1 per cento degli intervistati del bel Paese considera un lavoro all’estero come una buona soluzione, contro un 55 per cento che si dice poco favorevole ad un’opzione del genere. Non va meglio se ci si sposta nell’ambito dell’imprenditoria: solo un 27 per cento dei giovani italiani intravede per sé la possibilità di lanciarsi con un progetto proprio, mentre una proporzione ben più ampia (media europea del 43 per cento) si dice orientata verso una scelta del genere per la propria carriera futura negli altri stati.
I dati, insomma, parlano da soli. e il fatto che il nostro Paese non sia l’unico nel panorama europeo a registrare cifre del genere, non è una scusa sufficiente per cullarsi sugli allori. Sondaggi del genere, dovrebbero segnalare di fatto che è giunta finalmente l’ora di interrogarsi seriamente sul problema a tutti i livelli, e di cercare soluzioni consapevoli perché i giovani ritrovino fiducia in istituzioni che dovrebbero essere per loro punti di riferimento, come il mondo dell’istruzione e quello del lavoro.
Simona Peluso