Estero
L'amministrazione Obama tra armi e videogiochi. In mezzo la National Rifle Association
La strage della Sandy Hook Elementary School del 14 dicembre scorso ha portato ad un aspro scontro tra l'amministrazione Obama e la National Rifle Association, la lobby dei detentori di armi da fuoco statunitense. Al centro, oltre al Secondo Emendamento, anche la classica litania sulla violenza dei videogiochi che, però, sempre più diventano strumento di arruolamento ed addestramento per il settore militare, al quale Obama ha messo in mano la regia del suo “videogioco” preferito: la Disposition Matrix.
NEWTOWN (CONTEA DI FAIRFIEL, CONNECTICUT, STATI UNITI), 21 GENNAIO 2013 – Cinque minuti. Tanto è bastato al ventenne Adam Lanza, lo scorso 14 dicembre, per quello che è passato alle cronache come il “massacro della Sandy Hook Elementary School”. In totale 28 vittime, di cui 20 bambini di età compresa tra i sei e i sette anni e lo stesso Lanza.
Tanto è bastato, agli Stati Uniti, per far esplodere la prima grande polemica del secondo mandato dell'amministrazione Obama.[MORE]
Da un lato il governo. Dall'altro la National Rifle Association (da ora N.R.A.), uno dei più potenti e antichi gruppi di potere statunitensi, come ben ricorda Bill Clinton, che nel 1994 vide Tim Foley primo presidente della Camera a non essere rieletto – primo caso in un secolo - proprio per essersi opposto alla vendita delle armi d'assalto. Divieto che durerà fino al 2004 e all'amministrazione Bush, confermando così una maggior vicinanza all'area repubblicana che non ai democratici, con Chris W. Cox al vertice dell'Institute for Legislative Action, il braccio parlamentare dell'associazione, fin dal 2002.
Al centro del confronto, naturalmente, il rapporto tra gli americani e le armi, nel quale entra anche l'ultima sparatoria avvenuta ieri sera ad Albuquerque, nel New Mexico. Lo stesso giorno del massacro, faceva notare un editoriale del Los Angeles Times, 22 bambini sono stati feriti – nessuno ucciso - da un uomo munito di coltello in una scuola elementare in Cina. Potrà non essere una legge ad evitare future “Sandy Hook”, ma la via legislativa per ridurle al minimo non dovrebbe essere così impraticabile.
L'attacco e la trattativa. «Obama e Biden sono in malafede perché stanno cogliendo questa occasione per fare ciò che vogliono da anni, direi da decenni: limitare il Secondo Emendamento della Costituzione, privando i cittadini del diritto di avere armi». A dirlo ad una radio di Brooklyn è David Keene, presidente della N.R.A. a poche ore dall'inizio delle trattative per la definizione delle nuove leggi su fucili d'assalto e capienza dei caricatori. Un negoziato che si preannuncia tutt'altro che semplice.
Tra i primi a muoversi in tal senso il democratico Andrew Mark Cuomo, governatore ed ex procuratore generale dello stato di New York il quale ha annunciato la creazione della «più severa legislazione del paese sul controllo delle armi» che, secondo quanto scrive Democracy Now! (qui l'articolo dell'agenzia Pressenza) non vedrà l'opposizione dei repubblicani.
Chi invece si oppone è proprio l'associazione dei detentori di armi da fuoco statunitensi, forte di 4,2 milioni di iscritti (100.000 in più dopo la strage di Newtown, scriveva pochi giorni fa Maurizio Molinari su La Stampa) ed il 51% della popolazione americana dalla propria parte per un'industria che nel 2012 ha incassato 11,7 miliardi di dollari. Ad un mese esatto dalla strage e dopo aver atteso le decisioni del presidente, la risposta dell'associazione è tutta nel rilascio di “NRA: Pratice Range”, un'applicazione per iPhone e iPad che – mettendo il giocatore dinanzi a bersagli non-umani – può essere così utilizzata anche da minori, ultimo atto di una vera e propria guerra iniziata durante la campagna elettorale con “GunBanObama”, dove si fa riferimento anche all'operazione “Fast and Furious”, scandalo che coinvolse l'amministrazione in un traffico di armi con i cartelli della droga messicani.
Tra gli incontri del vicepresidente Joe Biden, messo a capo della task force voluta da Obama, anche l'industria dei videogiochi.
Il link della discordia. Heavy metal - come per la strage alla Columbine del 20 aprile 1999 per la quale tra le cause venne inserito Marilyn Manson (qui nell'intervista rilasciata a Michael Moore per Bowling for Columbine) - film e videogiochi violenti. Sono questi gli unici motivi ai quali va imputata la violenza di persone come Adam Lanza. Non certo alle armi da fuoco.
Ad evidenziare lo stretto rapporto tra violenza reale e virtuale, lo scorso 24 dicembre, Barry Meier ed Andrew Martin del New York Times, che hanno scoperto come il collegamento tra sparatorie e videogiochi sia più forte di quel che sembra.
Al centro dell'inchiesta titoli come Medal of Honor Warfighter (MoH), uno dei più famosi prodotti della californiana Electronic Arts, o Call of Duty (CoD) della Activision Blizzard, due tra i più importanti nomi dell'industria dei videogiochi nel mondo. Nel sito che promuove MoH prima che scoppiasse lo scandalo erano presenti link che collegavano al McMillan Group [screenshot di Gameological]– produttore di fucili da cecchino come quelli in dotazione ai Navy Seal – ed alla Magpul Industries Corporation, che – si legge nell'articolo - «vende caricatori ad alta capacità ed altri accessori per armi d'assalto», dando un'opportunità in più a queste società di vendere la propria mercanzia. Entrambe, attraverso donazioni in denaro, accessori o riviste gratuite, vedono tra i partner proprio la N.R.A. (qui la pagina parnership del McMillan Group; qui il collegamento NRA-Magpul) e, naturalmente, la N.R.A.-ILA, alla quale è affidato il compito di difendere gli interessi del gruppo in sede legale e politica. La EA aveva inoltre ulteriormente pubblicizzato la partnership con la Magpul sul suo sito ufficiale a giugno, nonostante si sia detta – stando alla ricostruzione del NYT - «all'oscuro della cosa». Un po' come credere che le case automobilistiche di Formula 1 non sanno cosa sponsorizzano con i marchi di sigarette sulle automobili.
Il motivo di un rapporto tanto stretto – eliminare un link da un sito non significa certo annullare la firma di un contratto – si spiega con la necessità, da parte delle case produttrici di videogiochi, di avvicinare questi il più possibile alla realtà sfruttando una rappresentazione dei brand reali – come quello della Beretta 93R prodotto dall'omonima Fabbrica d'Armi italiana presente in Battlefield, altro titolo importante della Electronic Arts – per il cui utilizzo viene spesso chiesta l'autorizzazione per evitare problemi legali.
Dal lato dell'industria delle armi – ma il discorso è ovviamente più ampio – lo sfruttamento di videogiochi o film aiuta la «percezione del marchio», come ha sottolineato al New York Times Stacy Jones, presidente di Hollywood Branded, società specializzata nel posizionamento dei prodotti in film e show televisivi.
La morale dei videogiochi. Rimanendo al contesto di questi giochi, in attesa che le grandi industrie ne fiutino il business, la “modalità pacifica” è lasciata all'iniziativa individuale, come quelle del diciannovenne Daniel Mullins e del suo “Felix the Peaceful Monk” o di Hideo Kojima, ex vicepresidente della software house Konami tra i primi a porre questioni antimilitariste (ed antinucleari, come ha lui stesso raccontato in un'intervista al quotidiano La Stampa del 2008) in giochi a carattere bellico ampiamente venduti come “Metal Gear Solid 4” dove “la via pacifista ai videogiochi” contrasta un mondo nel quale «la guerra è ormai un sistema economico troppo radicato per essere interrotto», come insegnano le campagne militari occidentali degli ultimi decenni. Si potrà obiettare che il denaro ricavato venga devoluto a fondazioni che aiutano le famiglie di militari caduti appartenenti alle Forze Speciali, ma «rimane da capire» - scrive Laura Parker in un interessante articolo sull'argomento - «come la promozione e la vendita di armi sia un buon modo di supportare le famiglie di uomini e donne morti usando armi simili». Machiavelli avrebbe poco da obiettare.
Tornando alle accuse sugli effetti della violenza virtuale nella realtà, potrebbe essere interessante analizzare come la prima possa venir utilizzata - attraverso la promozione di personaggi ripresi da veri appartenenti ai Tier1, i più addestrati ranghi delle Forze Speciali – per promuovere non solo marchi commerciali come EA, McMillan o Magpul quanto soprattutto uno dei pilastri dell'economia mondiale: la guerra. Quella stessa guerra che in Occidente, per dirla con Sigfrido Ranucci, autore nel 2004 dell'inchiesta che portò il pubblico occidentale a far conoscenza del fosforo bianco (qui il reportage: attenzione, contiene immagini forti) – è vista «come un gigantesco videogioco fatto con bombe intelligenti». E se la guerra vera diventa un videogioco, sovrapponendo realtà a virtualità, un joystick in un container nel New Mexico non è molto diverso da quello usato sul divano di casa.
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(foto: salon.com)
Andrea Intonti [http://senorbabylon.blogspot.it/]