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La sanità pubblica italiana parla il linguaggio della doppia personalità. Situazioni catastrofiche in certe strutture e punti di grande eccellenza in altre. Statisticamente le prime sono più presenti al sud. La salute è una delle cose che preoccupa di più la cittadinanza. Vorremmo vivere nella tranquillità determinata dall’essere consapevoli che dopo i fiumi di denaro che versiamo in sanità questa sia capace di aiutare la nostra salute specie in età avanzata.
Spesso ti salvano la vita con interventi tempestivi e geniali. Spesso incontri personale medico e paramedico dotato di rara umanità e squisita gentilezza in luoghi pulitissimi e dignitosi anche se vetusti. Altre volte si muore per una appendicectomia, per levare le tonsille, per il parto.
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In questo campo l’incapacità tecnica diventa reato grave. A volte proprio gli incapaci vengono assunti per il solo merito di essere parenti o amici o elettori. E invece, siccome con la salute non si scherza, bisognerebbe prendere i più bravi. Ma oggi non siamo qui per discutere di questo. Tutti vogliamo medici bravi.
Il fatto è che dopo aver pagato per trent’anni i contributi sanitari quando vai dal medico o in ospedale o al CUP o alla visita cardiologica ti aspetteresti di essere accolto con un “Buongiorno signore! Di cosa ha bisogno? Possiamo aiutarla?” e via così. Dopo tutto abbiamo contribuito a pagare gli stipendi e le attrezzature di tutti costoro.
Ti aspetteresti che mentre aspetti il tuo turno, ti facciano sedere e soprattutto ti facciano capire dove andare e con chi parlare. E qui viene la parte difficile. E già, con chi parlare? In alcuni luoghi nessuno ti spiega, nessuno ti da retta, tutti vanno di corsa con i loro camici bianchi svolazzanti e tu stai là, in piedi, sudato, impaurito e senza sapere cosa ti attende. Ci sono indagini cliniche dolorose, fastidiose, a volte imbarazzanti: cistoscopie, ecografie transrettali, “infilamento” di sonde in tutti gli orifizi possibili.
Un amico mi raccontò che finalmente dopo tre ore di attesa riescono a infilargli il cistoscopio nell’uretra, poi per un motivo sconosciuto, quelli si scazzano tra loro urlano e se ne vanno. Va via il medico, va via la prima infermiera, va via la seconda e lascia la porta aperta e la gente passa e spassa e guarda l’amico con lo strumento dentro.
Poveraccio il mio amico! Non gli restò che chiudere gli occhi ed aspettare che i sanitari rientrassero dopo aver risolto una questione di turni. Quindici minuti interminabili e la più assoluta vergogna di trovarsi esposto al pubblico in una situazione di grande imbarazzo.
Certi altri ti danno del tu come se ti conoscessero da una vita e intanto scherzano e ridono tra loro e fanno le loro battute del cazzo proprio sulla situazione del malcapitato paziente. Ti trattano con sufficienza, dall’alto in basso, ti spiegano a malapena e se non capisci ti fanno intendere che sei un po’ idiota.
In alcuni luoghi pur dovendo aspettare ore ed ore non vi sono bagni a disposizione dei pazienti. Se domandi ti rispondono che i gabinetti sono chiusi perché poi “chi li pulisce?”. O se finalmente riesci a trovarne uno è talmente sporco che quelli degli autogrill sembrano salotti.
C’è una infinita casistica di episodi del tipo descritto così come c’è un’ottima casistica di luoghi dove l’ospedale diventa un albergo a cinque stelle. Dipende da chi ci lavora dentro, da chi dirige, da chi esegue. Si parla di sprechi e mancanza di fondi. In realtà gentilezza, cortesia e pulizia sono praticamente a costo zero. Un medico o un infermiere cafone ci costa esattamente quanto uno gentile e preparato. E allora, facciamo una cosa: cominciamo a mandare a case gli ineducati, i “tamarri”, i volgari. Il servizio sanitario ne guadagnerà tantissimo.