Estero

La Turchia tra proteste e Islam

ISTANBUL, 23 GIUGNO 2013 - La protesta è finita, ma nessuno se n’è andato in pace. A partire dalle quattro vittime degli scontri di Taksim, passando per i migliaia di feriti, o per chi è deceduto successivamente per la troppa esposizione ai gas e alle sostanze chimiche. Per chi si è arreso, ma cova ancora più rabbia di prima, e per chi non vuole arrendersi e non sa più che cosa farsene, di tanta rabbia, per chi semplicemente è tornato alla propria routine, per chi ha smesso di crederci e per chi ha capito che le cose, così, non cambieranno mai. Per chi vorrebbe organizzare altre forme di protesta e per chi preferisce non informarsi neanche, per resa congenita. Passando per chi ancora resiste a Ankara, ma nessuno ne parla, per la luce fioca dei riflettori, e passando per gli stessi poliziotti, sottoposti a orari di lavoro massacranti e a rispondere a ordini dall’alto, il più delle volte, magari, contro la loro stessa volontà – quella personale, forse, ma non quella professionale. Arrivando fino a Erdoğan e ai suoi sostenitori, che sembrerebbero aver vinto, in qualche modo, imponendo il pugno fermo dell’autorità, ma che di certo hanno temuto il peggio, col sopraggiungere di questo terremoto sociale.

In piazza Taksim, regna una calma apparente. La quiete dopo la tempesta, verrebbe da dire, e non prima di un’altra, prossima. Dopo lo sgombero forzato dello scorso fine settimana, i turchi hanno tentato di tenere quantomeno alta l’attenzione dei media. Ci ha pensato prima il coreografo Erdem Gündüz, il famoso “Uomo in piedi”, che ha trascinato di nuovo i suoi connazionali in una protesta immobile, da Taksim, alla Turchia tutta, e fino al resto del mondo, come forma di solidarietà. Ma la nuova forma di protesta non è durata a lungo. Qualche presa in custodia di alcuni manifestanti, e il plauso del governo, che commentava l’episodio come “pacifico e giusto, da prendere a modello”, e il tutto è sfumato in un paio di giorni.

                                              

Nel frattempo, però, tanti giovani si sono rintanati per l’intera settimana nel parco Abbasağa, nei pressi di Beşiktaş, dove per quattro ore al giorno, dalle 20.00 alle 24.00, la gente ha organizzato dei forum, e dove chiunque poteva prendere parola ed esprimere le proprie opinioni riguardo agli eventi. Più che pensare a come portare avanti la protesta, i forum vertevano sulle reali minacce e sui meccanismi inceppati della loro tanto bramata democrazia. Si rifletteva, per esempio, sulle effettive necessità di agire per sensibilizzare chi non avvertiva, come loro, il pericolo di una deriva autoritaria del governo, o sullo sbarramento del 10% che non consente ai partiti minori di prender parte alle decisioni parlamentari. In molti, cominciavano a guardare anche al Movimento 5 Stelle, come modello possibile da importare in Turchia. Un oratore al microfono, e centinaia di persone in silenzio, senza fare il minimo rumore, che per esprimere il loro consenso evitavano di applaudire, ma piuttosto alzavano e agitavano le mani. Zitti zitti, per non disturbare.

               

E, dopo un letargo condito di fora di circa una settimana, ecco rispuntare i turchi in piazza Taksim, tutti con in mano un garofano, nella volontà di commemorare le quattro vittime della protesta. Si sono ritrovati una piazza ancora blindata dalla polizia, che pare che davvero, a Taksim, sia diventato illegale pure respirare. In brevissimo tempo, i cannoni ad acqua sono tornati in azione. I ragazzi in piazza, non avevano altro che garofani, tra le mani, e li alzavano in cielo o li offrivano ai poliziotti. I TOMA, i mezzi blindati della polizia, di risposta, li innaffiavano con violenza. Probabilmente il loro modo di gradire. La polizia ha spinto la gente in tutte le strade che portano a Taksim , sparando qualche lacrimogeno qua e là, ed evitando che i violenti si radunassero di nuovo. Nulla di gravissimo, nessun morto, nessun ferito, insomma inutile parlarne.

Dal canto suo, Erdoğan insiste sulla teoria del nemico immaginario. Ora lo spauracchio è straniero (chi?) che tenta di allontanare il corvo nascente dell’economia turca. E probabilmente la questione sta tutta lì. Nell’economia. Il boom della Turchia sembra essere sempre più a vantaggio delle classi religiose. In pochi ipotizzavano, appena due anni fa, l’ascesa delle lobby islamiche in quanto a ricchezza e potere. Oggi tutte le minoranze laiche e filo-laiche cominciano a comprendere che il rischio di trasformarsi in un nuovo Iran effettivamente c’è, e tendono a coalizzarsi in blocco, per fronteggiarlo. Ma il problema a volte sembra giacere nel fatto che l’Anatolia è un territorio fin troppo vasto, dove poter diffondere omogeneamente un certo tipo di ideali.

 

Dino Buonaiuto (Corrispondente dalla Turchia)

(foto: Al Jazeera)

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