Politica

La svolta nel caso Penati. L'affaire Serravalle

Monza, 9 settembre 2011- La svolta temuta dai vertici del Pd sul caso Penati ha preso forma nella giornata di ieri. L’ex presidente della provincia di Milano è stato iscritto nel registro degli indagati per corruzione nell’ambito della transazione per l’acquisizione di quote della Serravalle-Milano dal gruppo Gavio.[MORE]

Qualche coordinata generale, in attesa degli sviluppi dell’indagine, può aiutare a ricostruire il profilo della vicenda Serravalle. Già oggetto di indagini nel 2006, quando su esposto dell’allora sindaco di Milano Gabriele Albertini la procura non ritenne che ci fossero sintomi di reato nella compravendita delle azioni dell’autostrada, il caso della Serravalle-Milano vede coinvolti soggetti politici ed economici a vario livello collegati ad alcuni tra i fatti più importanti degli ultimi anni. Il gruppo Gavio, proprietario della quota di maggioranza dell’autostrada Serravalle-Milano, è stato uno dei protagonisti della scalata di Unipol (la compagnia assicurativa vicina agli allora Ds con cui il segretario Piero Fassino intratteneva amichevoli rapporti, tanto da arrivare a dire al presidente Consorte“abbiamo una banca”) ad Antonveneta. I due affari, la Milano-Serravalle e Antonveneta, si intrecciano pericolosamente e lasciano credere che possa esserci stato un incrocio perverso di interessi nell’ascesa di soggetti economici vicini ai Ds.

Ma come si è arrivati ad ipotizzare che il caso Penati abbia un rilievo sovralocale, che non si arresta alle pratiche corruttive dell’amministrazione di Sesto San Giovanni? L’inchiesta sulla gestione delle aree Falk nel comune del milanese, oggetto principale delle contestazioni a Penati, è stata alimentata da un accusatore, Pino di Caterina, imprenditore nel ramo dei trasporti pubblici, per anni vicino agli ambienti dell’ex sindaco di Sesto. In una complessa partita di giro, Di Caterina sarebbe stato coinvolto nell’operazione della Serravalle: per riavere indietro fondi da lui versati a Penati a titolo di assicurazione per la buona riuscita di un affare, l’imprenditore sestese avrebbe ricevuto garanzie che si sarebbe potuto rivalere sulle somme messe a disposizione dell’ex presidente della provincia di Milano da parte del gruppo Gavio. Secondo gli inquirenti, la caparra di 2 milioni scaduta il 31 dicembre 2010 depositata per l’ acquisto da parte di Bruno Binasco (manager di Gavio) di un immobile di Di Caterina sarebbe un artifizio contabile per fare arrivare all’accusatore di Penati parte delle cifre a lui spettanti. Sul Corriere della Sera viene rivelato che in una conversazione telefonica intercettata nell’ottobre 2010 tra Binasco e Angelo Rovati, già braccio destro di Romano Prodi, si parlava proprio di una caparra di 2 milioni in scadenza a dicembre. Potrebbe trattarsi della stessa caparra destinata, transitando per Penati, a Di Caterina. In tal caso, la tagliola attorno ai vertici del Pd rischierebbe di chiudersi pericolosamente. La conoscenza dell’affaire Serravalle-Di Caterina da parte di un uomo come Rovati, sicuramente personaggio di spicco del Pd nazionale, dimostrerebbe che i vertici del partito “non potevano non sapere”, con evidente scoramento per i militanti, a cui potrebbe non bastare la sospensione di Penati, decretata dalla commissione di garanzia del Pd.

Questo è il testo dell’intercettazione pubblicato dal Corriere della Sera:
Rovati: «ti volevo dire una cosa, che sennò mi dimentico di chiedertelo»;
Binasco: «Dimmi»;
Rovati: «Il compromesso dell’immobile scade il 31 dicembre»;
Binasco: «Sì, e va a chiusura»;
Rovati: «Ecco, per la chiusura allora…, eh facciamo il rogito prima del 31?»;
Binasco: «No, ma lì non c’era il rogito, perdevamo caparra o no, eh? Chiedo scusa»
Rovati: «E no, si ho capito! Puoi avere le due opzioni, vabbeh quando ci vediamo ne parliamo»

Rovati giustifica al Corriere l’intercettazione adducendo che in effetti prima del 31 dicembre si sarebbe realizzata la vendita di un immobile a lui riconducibile, e diverso da quello di Di Caterina, per il quale Binasco aveva depositato una caparra.
 

Emiliano Colacchi

In foto, Filippo Penati