Cronaca

La strada del giornalista: bivi, crocevia, salite e discese e tanto da osservare

REGGIO CALABRIA, 18 MARZO 2013 - Il mestiere del giornalista come tutti i lavori necessita di preparazione, studio e applicazione. Le esperienze lavorative e di vita forgiano il carattere, la personalità, lo stile. Paolo Montalto ha un'idea chiara di come deve essere il giornalismo oggi, della differenza fra giornalismo e comunicazione, delle capacità necessarie per affrontare le sfide presenti e future di questo settore.[MORE]

Quando è scoccato l’amore nei confronti del giornalismo?

È stato un amore graduale, rinforzatosi sempre più col passare del tempo. Iniziai a metà degli anni Ottanta in radio; poi giornali e televisione. Devo tutto a un mio cugino. Strappò da una bacheca universitaria un volantino che pubblicizzava un corso di giornalismo a Roma. M'iscrissi, lo frequentai, m’innamorai come mai di questo lavoro e decisi che avrei fatto di tutto per farlo diventare la mia professione.

Giornalista dell’Ansa. Cosa vuol dire nel 2013 essere giornalista?

Oggi il giornalista non è quello di cinquant’anni fa. Un tempo trasmetteva le notizie per arrivare alla gente; oggi le notizie le interpreta, e anche – perché no – le commenta. Oggi la mole delle informazioni è inquietante, e occorre che qualcuno, in coscienza, scelga quelle che possano interessare alla gente. Tra i “peccati” più comuni del giornalista, come scriveva Montanelli, è la noia. Il giornalista oggi deve interessare, rispondere, spiegare, incuriosire, divertire. L’errore più grande non può che essere quello di scrivere solo per sé stesso! Il dramma è che quello che dovrebbe essere normale, oggi sfortunatamente è ancora una sfida.

Nato a Vibo Valentia ma vivi a Roma. Perché non sei rimasto nella tua terra a fare il cronista?

Io nella mia terra il cronista l'ho fatto, e per parecchio tempo. É vero che sono nato a Vibo Valentia, così com’è vero che ho sempre vissuto a Palmi, città che amo e dalla quale non mi staccherò mai per nulla al mondo. Ho iniziato in Calabria; per tanti anni sono stato corrispondente della mia città per la Gazzetta del Sud. Poi, i casi della vita mi hanno portato nella Capitale dove ho iniziato un percorso diverso, altrettanto affascinante. E chissà che non possa in futuro ritornare nella mia bella Terra.

Perché sono in molti a credere che la Calabria abbia vissuto e stia vivendo un grave deficit di informazione?

Non so se in questo momento la Calabria stia vivendo un grave deficit dell’informazione. Ai miei tempi certamente non c’era. So solo che questo è un momento difficilissimo per l’editoria; soprattutto per l’informazione locale. Sarebbe bello che qualcuno s’inventasse qualcosa di nuovo, si aprissero spazi giornalistici diversi, nuove collocazioni. Ma al momento temo sia impossibile. Anche perché la Calabria è notoriamente poco innovatrice, anche se ci sono state esperienze che hanno avuto un impatto importante. Ai calabresi però piace leggere le notizie iperlocali, sia che si tratti di cronaca sia che si tratti di politica. Bisogna scegliere se avere un impatto forte o se cambiare qualcosa in maniera graduale. Io propendo per la prima ipotesi.

Lipman sosteneva che la qualità dell’informazione sulla società moderna sia un indice della sua organizzazione sociale. Cosa pensi a riguardo?

Lipman aggiungeva anche che nella sua espressione migliore la stampa è serva e custode delle istituzioni, nella sua espressione peggiore è un mezzo mediante il quale alcuni sfruttano la disorganizzazione sociale ai propri fini particolari. Beh … mi sforzo di immaginare una stampa di qualità, socialmente efficace, mai però serva delle Istituzioni. Mi sforzo di credere che possa essere solo e per sempre serva della gente.

Il giornalismo dovrebbe essere il portavoce di chi voce non ne ha. È davvero così?

Essere giornalista è dare voce a chi non ne ha, ma anche a chi parla piano o urla molto senza riuscire a farsi sentire. È andare a vedere ciò che è invisibile, documentare, denunciare, testimoniare. É tenere occhi e mente aperti. Anche essere scomodi, senza girarsi mai dall’altra parte.

Come dovrebbe essere il rapporto tra informazione e comunicazione?

Credo che informazione e comunicazione siano due facce diverse. In teoria, l'informazione dovrebbe essere opera dei giornalisti, mentre la comunicazione opera di chi ha necessità di valorizzare la propria attività. Scopo dell'informazione non può che essere quello di servire il pubblico in modo obiettivo; scopo della comunicazione è servire chi comunica. Se le confondiamo, entrambe perdono credibilità.

Giulia Farneti e Alessandro Bertolucci