Fantasticherie del cuore
La rovina di un cammino senza meta
C’è nel mondo una corsa senza regole certe per conquistare più potere possibile, senza avere per questo un fine preciso da raggiungere. Durante il galoppo giornaliero si rischia di confondere spesso la meta finale con i mezzi utilizzati, pur di soddisfare le proprie esigenze, le proprie fisime, le proprie caparbie soluzioni. Questo succede nella politica; nella direzione di una comunità; in una azienda; nella sfera privata, familiare e amicale; in qualsiasi attività insomma, così come nel proprio cammino di conversione. Importante considerare quest’ultimo aspetto, ponendolo al centro del nostro ragionamento, se gli si vuole dare una dimensione soprannaturale necessaria ad innalzare il senso delle cose terrene, evitando di lasciarle rotolare su sé stesse.
Camminare senza meta non consente ad alcuno di raggiungere dei risultati positivi per il prossimo che contribuiscano a tracciare passaggi solidi e duraturi.
Si può senz’altro vivere di effetti immediati che soddisfano il presente, ma che di fatto logorano le radici di base su cui costruire la stabilità del proprio modo di essere. Andare avanti verso un fine chiaro non permette scorciatoie, né la possibilità di confondere i mezzi con la meta preposta. Portare a termine un fine per un lungo periodo della propria vita, presuppone avere senza riserve delle doti personali permanenti quali la volontà, la coerenza, la freschezza mentale, la pulizia del cuore, l’onestà verso sé stessi, l’obbedienza a dei sani principi di base.
Una meta momentanea è facile verificarla senza troppi problemi. Cosa diversa è eseguire senza mai stancarsi una verifica costante su un percorso che tenda ad un traguardo finale lungo quanto una vita. Scrive il teologo: “Un comando che dura tutta una vita può iniziare nel grande entusiasmo e finire nella grande indifferenza o accidia spirituale. Può capitare anche una seconda possibilità: lo stravolgimento del suo fine di origine per caricarlo di fini umani, personali, che non sono il fine voluto dal Signore. Una terza possibilità è questa: il fine viene sostituito con i mezzi”. Questa verità ci viene incontro nel capire le nostre piccole e grandi cose quotidiane, come ci pone dinnanzi alla uniformità o meno di una scelta esistenziale all’ombra della Parola.
Il tutto presuppone che l’uomo debba decidere, finché sarà in tempo, di essere nel mondo ma senza essere del mondo, per non rischiare di essere inghiottito da sé stesso e dai limiti umani che sempre sono preceduti da una verità oggettiva non intercambiabile. L’uomo se vuole volare alto e costruire sulla terra un passaggio per l’eternità, il più giusto possibile e sanamente godibile, non può vanificare l’insegnamento evangelico e la forza della preghiera, quali mezzi personali e comunitari all’interno di un cammino ecclesiale chiaro e senza fuori onda. Diciamo allora con chiarezza che il mezzo non è il fine. Un incontro ecclesiale o laicale è un mezzo; l’economia è un mezzo; la preghiera è un mezzo.
L’amicizia, un viaggio in comune, una spaghettata, una escursione sono dei mezzi. Il compito di quest’ultimi è aiutare il fine a compiersi, ma non a sostituirlo. Accanirsi poi sui mezzi, senza aver chiaro il fine da raggiungere, significa compiere una vera stoltezza che si ripercuote in pieno sulla propria realtà sociale e spirituale. Nascono così dissidi, incomprensioni, negatività, sconfitte, scivolate in più direzioni, ecc., che solitamente annoveriamo sbagliando tra le pieghe di una sfortuna matrigna, pronta sempre a colpirci o rallentare la nostra corsa. Tutto questo è però possibile vivendo all’ombra di una società che ha perso il fine principale di conformarsi in Cristo, sollecitando la sua Parola negli altri e aiutando il prossimo a non cadere.
Diventa attuale di riflesso quanto scriveva san Paolo, nella seconda metà del primo secolo d.C., al suo discepolo Timoteo: “Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole”. Gli risponde oggi puntuale il teologo del Signore aiutandoci a comprendere l’unità valoriale del pensiero di Dio che va oltre ogni scansione temporale: “Quando l’uomo sostituisce il Vangelo con i suoi pensieri, sempre diviene autoreferenziale. Tutto vede dalla sua mente, dal suo cuore, dalla sua volontà. Nulla più vede dal cuore, dalla mente, dalla volontà di Cristo Gesù, dal suo Vangelo, dalla sua Parola, dal suo comandamento. È questa oggi la grande confusione cristiana”. Un disordine che non interessa solo l’aspetto religioso dell’uomo, ma interamente il suo aspetto civile e sociale.
Cambiare squadra in politica, nelle istituzioni, in economia, in altri importanti settori della vita pubblica e privata, senza che l’uomo riconquisti la lucidità del suo cammino verso una meta plurale, etica, cristiana, non serve a nulla. Se tutti i “giocatori” hanno smarrito la meta principale, qualunque vittoria rischia di continuare ad essere un risultato senza effetti reali sulla comunità. Si parta allora da sé stessi per recuperare la meta che ci liberi e ci conformi alla verità e consenta di abolire ogni rovina personale e comunitaria. L’uomo ha in sé la forza di ribaltare ogni avversità.
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