Editoriale
La Responsabilità Civile dei Giudici passa alla Camera. Ma Perché?
ROMA, 3 FEBBRAIO 2012- L’emendamento del leghista maroniano Pini passa alla Camera, con 264 sì contro 211 No. L’oggetto, la Responsabilità Civile per i giudici, l’ avevano già preso in considerazione i votanti degli anni ottanta, con un Referendum-successone, dove il popolo italiano disse la sua, avanzando un’idea democratica circa la Responsabilità Civile dei Giudici: La stessa che è passata ieri in prima camera parlamentare (che però, paradossalmente, all'epoca non fu applicata dalla legge che entrò in vigore l'anno seguente a quel referendum -1988). Ora accade che quell’antico Referendum si riscatta.
Ma la vita c’insegna che non tutto ciò che sembra, è. [MORE]Figuriamoci in questo solstizio della Giustizia. Vediamo perché. La Lega ha presentato un emendamento appoggiato dal Pdl e, grazie allo scrutinio segreto, anche da una parte del PD, nonostante la linea ufficiale del partito di Bersani fosse di parere contrario. Ora. Quando mai le azioni di riforma in Italia son passate per giudizio e non per interesse? Rispondendo con una bugìa, diremmo mai.
Ecco che al monito buonista di Alfano su Twitter “Chi sbaglia paga, anche i magistrati” ci verrebbe da rispondere con un abbraccio di solidarietà. Ma esisteva/esiste già una legge che contempera il diritto del cittadino ad ottenere un risarcimento per danno ingiusto “a causa di un comportamento/un atto/un provvedimento giudiziario compiuto da magistrato con dolo o colpa grave” e l’autonomia delle toghe nell’applicazione della Legge in merito secondo proprio quella legge (la Vassalli, la 117/1988).
Se dunque il risarcimento già era disciplinato, cosa ha spinto questi 264 parlamentari a vederne a tutti i costi allargato il campo di applicazione? La Legge Vassalli prevede difatti non solo il risarcimento per dolo o colpa grave insito in un provvedimento giudiziario, ma anche che lo Stato, subito dopo, si rivalga (se vuole) contro lo stesso magistrato applicando una sanzione economica.
Evidentemente a costoro, vista l’imboscata di ieri (l’area PDL aveva giurato di votar contro ma poi s’è visto come) non bastava. C’era da aggiungere un altro tassello, “Responsabilità Civile per manifesta Violazione del diritto”.
Guardando oltre le parole, significa che se un cospicuo numero d' imputati non conviene con la decisione di un magistrato (e non succede di rado) esso può deliberamente, direttamente chiamare in giudizio colui che ha regolato il processo. E questo, ovviamente, potrebbe succedere non solo spesso ma soprattutto per gaudio di quegl’ <imputati eccellenti> che potrebbero permettersi atteggiamenti ricattatori nei confronti del giudicante, per propria forza economica, arroganza o semplicemente potere.
Giudici sotto ricatto, giudici esposti (una volta messa mano alla loro indipendenza ex legis) ad una qualunque intimidazione o ritorsione. Verrebbe meno l’elemento imprescindibile della serenità. Verrebbe meno la condicio di terzietà in un processo, perché s'insinuerà sempre il timore di poterne diventare parte non essendone garantita l’aura di super partes.
Il pericolo corrompe anche la mente più arguta.
Facile è dunque costruire una politica aggressiva di finta costituzionalità sotto lo spot populista del “Chi sbaglia, paga”. In Italia, e questo è un aspetto sociologico di massa, uno spot che passa per buono, diventa un tormentone.
Il Ministro della Giustizia Paola Severino, scandisce un augurio: che al Senato, seconda Camera, si possa “correggere il provvedimento”. Il Partito di Berlusconi invece, ponendo veto ad un emendamento soppressivo dell’articolato “contra iudices” tocca ferro per evitare che si cambi la preziosissima rotta intrapresa. La peculiarità del lavoro delle toghe difatti non è come quella dei medici, dei meccanici, dei Sindaci: essi (i giudici), dovendo interpretare la legge su TUTTI i campi esistenti non possono trovare ostacoli (emotivi o di opportunità) nell’interpretazione della legge. Anche operare una interpretazione innovativa su una questione, che rientra nel diritto di Giustizia non anacronistico, potrà porre il giudice in una condizione di paura. A sentenza lucida (ovvero imparziale, non corrotta, non condizionata da alcuno), deciderà pacatamente di sostituirvene una più morbida, che non gli faccia applicare ciò che è giusto (la vera Lex: “dura Lex, sed Lex”) ma ciò che convenientemente lo ponga fuori dalla grane. Ma la GIUSTIZIA?
Anna Ingravallo