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LA RESISTENZA DELLO SGUARDO - Infooggi intervista Daniele Vicari, regista di "Diaz" - PARTE 2
NAPOLI, 25 APRILE 2012 - Ecco la seconda parte dell'intervista a Daniele Vicari, regista di Diaz - Don't clean up this blood, effettuata da Infooggi in diretta su Radio Kolbe. Nella seconda parte, Rosy Merola interroga Vicari sullo stato di salute dell'informazione italiana. Il regista ne approfitta per parlare del mondo del giornalismo come di un importante elemento della democrazia italiana.
R.M: Data la difficoltà di reperire notizie corrette subito dopo lo svolgimento dei fatti, lei che con le sue opere, non solo “Diaz”, dimostra di avere una forma mentis ed un modus operandi che denunciano il suo aver studiato storia e critica del cinema, quindi un’anima storiografica che la fa andare in fondo alle notizie ed a documentarsi, cosa pensa dello stato di salute dell’informazione del nostro paese. Probabilmente non è stata fatta opportuna informazione su quanto accaduto.
DANIELE VICARI: Io vorrei in questo caso ringraziare tutti i giornalisti italiani che da Genova hanno tentato in ogni modo di raccontare queste cose difficilissime da raccontare in presa diretta. I giornalisti che erano davanti alla Diaz non avrebbero mai potuto immaginare cosa fosse successo dentro, quando poi la polizia ha portato via gli arrestati, sono entrati, i giornalisti, ed hanno ripreso le pozze di sangue, la scuola completamente devastata, facendo vedere al mondo il risultato di quanto accaduto dentro. Ma la manipolazione abilissima sul piano mediatico del capoufficio stampa della polizia all’epoca fu molto difficile da scavalcare, da evitare: il comunicato stampa diffuso del capoufficio stampa ancora oggi non è stato mai smentito, i giornalisti devono attenersi ai fatti, poi c’è stato chi ha fatto un’inchiesta. Mi preme dire una cosa che non riguarda non solo i giornalisti italiani, ma anche il cinema: il nostro paese è caratterizzato da una forma di autocensura molto seria e molto grave, per cui la buona volontà di certi giornalisti si scontra con un sistema al cui interno se non stai dentro certi canali vieni in qualche modo limitato. Piano piano ci si addomestica, si addomesticano le coscienze, e questa forma di autocensura risponde a delle sollecitazioni che arrivano dai dirigenti, dai giornali, dai partiti politici, a tenere molto bassa l’informazione su certi argomenti.[MORE]E questo fa sì che anche nel cinema, ad esempio, non si presentino progetti scomodi ai produttori o ai finanziatori, perché non verrebbero finanziati e presi in considerazione. Nel caso di Diaz solo il coraggio e la temerarietà di un produttore lungimirante come Procacci ha fatto sì che il film si facesse. Una situazione complessa di cui dobbiamo prendere coscienza. Diaz serve anche a questo, perché racconta i fatti in maniera completamente documentata – non c’è una sola cosa inventata, il livello dell’invenzione drammaturgica sta nella mescolanza di fatti reali, io ho mescolato in maniera creativa le storie che racconto, ma rispettando gli atti dei processi, e questo fa sì che il film abbia dal punto di vista emotivo quel valore in più sul piano artistico, e lo spettatore accetta la rappresentazione degli eventi, anche se violenta, e la fa sua, si domanda perché sia accaduto, come mai, chi può aver dato l’ordine, chi è il responsabile politico. Queste domande sono preziosissime, ed i giornalisti italiani, non solo quelli dello spettacolo, stanno aiutando da questo punto di vista il film e gli spettatori, perché stanno cominciando a ripubblicare molte cose su quegli eventi: una risposta molto civile da parte del mondo del giornalismo e dell’informazione.
PARTE PRIMA
PARTE TERZA
L'AUDIO DELL'INTERVISTA SU RADIO KOLBE: PARTE PRIMA - PARTE SECONDA
(in foto: una scena del film Diaz)
A.M.