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La regina Marina ci insegna il suo metodo: The Abramovic Method

MILANO, 19 MARZO 2012 - Ha lo sguardo fiero come un’aquila, come ha potuto sperimentare il pubblico del MoMa nel 2010, per la sua performance “The Artist is present”. Uno sguardo fisso che fa piangere e vacillare.
L’abbiamo aspettata tanto, con l’ansia genuina di entrare da performer veri e propri in questo suo nuovo lavoro: “The Abramović Method”. Si parla di metodo perché per questa volta la Abramović ci guida, come un mentore, nel backstage della sua creatività e, almeno per questa volta, l’artista offre una performance in cui la sua presenza è minima, e in cui “il pubblico non faccia solo da voyeur”. Una riflessione che, per ammissione dell’artista stessa, le è venuta alla mente con il trascorrere dei suoi 40 anni di carriera: “La performance senza pubblico non ha alcun senso”.

Non c’è forse bisogno di introdurre la sua figura, ma per i “profani” diremo che Marina Abramović è una dei capostipiti del movimento della performance art già dai primi anni ’70, una necessità artistica che molti sentivano all’epoca: rendere l’arte viva, scaraventarla fuori delle teche di cristallo museali. E consegnarla quindi nelle mani del pubblico intorpidito dall’usuale esperienza artistica. [MORE]

A questo bisogno si richiamano alcuni dei lavori dell’Abramović e, occasionalmente, dell’allora suo compagno Ulay, artista tedesco: “Imponderabilia” del 1977 e la serie di Rhythm (10, 5, 2, 0), solo per fare un esempio. Questo scopo si intreccia dialetticamente con la scoperta dell’interiorità stessa dell’artista che, utilizzando il corpo esclusivamente come medium, cerca di spingersi fino e oltre le linee estreme convenzionali.

Marina Abramović, per sfondare le barriere imposte dalla limitatezza di soma e psiche, però, non si affida alla body art cibernetica come il meno celebre Stelarc, ma si affida al tempo, e alla cognizione che abbiamo di esso: la temporalità è un elemento importante per tutto il movimento della performance per due motivi.
In primo luogo, la performance ha un tempo limitato; non è la Gioconda in esposizione al Louvre che può essere vista tutti i giorni di apertura ad un qualsiasi orario. La performance è un progetto nella mente dell’artista che diventa opera d’arte nell’hic et nunc di incontro con il pubblico/performer. L’ha riassunto bene l’artista serba stessa alla conferenza stampa a Villa Reale: “If you give me your time, I give you experience. But if you give me no time, then I can’t give you experience” (Se mi darete il vostro tempo, vi farò dono di questa esperienza: ma se non me lo date, allora io non posso). In secondo luogo, la temporalità entra nella performance nella veste di durata: ora, quest’ultima può essere variabile (si va dai 3 mesi dell’esperimento newyorchese alle sei ore di Rhythm 0) ma struttura l’evento performativo nel profondo.

Tornando ad oggi, è qua a Milano, al Padiglione di Arte Contemporanea, che Marina ha presentato “The Abramović Method”, una parte, anche se la più importante, delle situazioni di cui è protagonista questi giorni: sempre a Milano, domani si apre l’altra mostra dell’artista “With eyes closed I see happiness” alla Galleria Lia Rumma, come anche giovedì 22 marzo ci sarà la proiezione del film “The Artist is Present” (Cinema Apollo). Con la partecipazione di Stefano Boeri, assessore alla Cultura, Antonio Scuderi, AD di 24ORE Cultura, Domenico Piraina, direttore PAC e i due curatori Diego Sileo ed Eugenio Viola, la Abramović ha esposto in conferenza stampa alcune opinioni sulla contemporaneità e ha spiegato in breve come si sarebbe svolta la performance delle ore 13.00, in anteprima nazionale.
Passando dall’immaterialità della performance al ruolo dell’arte nella società che “deve essere come l’ossigeno, e l’artista (che) deve impegnarsi per portare dei nuovi valori”, Marina ha accennato al progetto che ha in mente per lasciare la sua eredità alle nuove generazioni di performer: il Marina Abramovic Institute che sarà costruito ad Hudson, nei pressi di New York.In questo senso, la performance milanese di questi giorni è un primo mattone per una casa che deve ancora sorgere nel tempo a venire: già qui, ora, cominciamo ad imparare il metodo Abramović. “ Viviamo in una società molto disturbata, abbiamo perso il nostro centro spirituale. La tecnologia ha preso il posto di tutto per noi, non c’è più tempo per niente”. Se la prende infatti con la tecnologia, o meglio, con l’utilizzo che l’uomo medio ne fa: l’uomo che, paradossalmente, è al parco ed invece di percepire il caldo o il freddo, lo controlla sull’app del suo Iphone. Marina ci invita a riprenderci il nostro tempo, e l’idea che fa da terreno per la performance è proprio questa. Fermarsi, darsi tempo. Che si sia in piedi, sdraiati o seduti.
Nessuno se la sente più di porle la faticosa domanda di cui si lamentava nei primi anni della sua carriera: “Questa è arte?”. I tempi sono maturi per urlare fieramente: “Lo è”.


PAC, Via Palestro 14
21 marzo - 10 giugno

(In foto, la locandina dell'evento)

 

Silvia Gola