La strada della vita
“La profezia dell’adolescenza”. La formula di Riccardo Camarda (16 anni) verso il cambiamento
'La profezia dell’adolescenza'. La formula di Riccardo Camarda (16 anni) verso il cambiamento.
Questa è un’intervista a un adolescente che ha le idee molto chiare sulla realtà della sua generazione e che forse ha qualcosa da insegnare anche a noi adulti. Leggiamola!
Antonia: Ciao Riccardo, parlami un po’ di te.
Riccardo: Ciao Antonia! Intanto ti ringrazio per questa opportunità. Ho 16 anni e frequento un liceo a indirizzo economico-sociale. Sono un ragazzo come tanti altri, che vive un’età bellissima e spesso confusa. Io cerco di essere consapevole di molti fenomeni che coinvolgono noi adolescenti e dei comportamenti che noi stessi dovremmo modificare. Il 23 febbraio scorso ho avuto il privilegio di parlare di questo argomento sul palco di TEDxYouth@Roma, con un intervento dal titolo “Profezia dell’adolescenza” che verrà pubblicato a breve su YouTube. Certamente non sono un professionista né un esperto, e questo ci tengo sempre a ribadirlo!
Antonia: Quale è secondo te, attualmente, uno dei problemi più rilevanti di quest’età?
Riccardo: Mi ritrovo a pensare che il percorso dell’adolescenza stia diventando sempre di più come un gioco. Un gioco con le proprie regole. E se tu, adolescente, non rispetti queste regole sei fuori, il gioco termina: è game over.
Il problema è che queste regole non le decidiamo noi, ma sono imposte dalla società: una società che cerca di etichettarci a suo piacimento, che ci fa sentire a disagio se non indossiamo una particolare maglia o se non possediamo un determinato oggetto, quasi che senza queste cose non fossimo adolescenti davvero.
Io dico sempre che i mercati hanno reso l’adolescenza liquida, come l’acqua che si adatta alla forma del contenitore: i mercati sono i recipienti, che plasmano l’adolescenza, la modellano. Mi piace molto questa metafora.
Antonia: Questo cosa comporta, secondo te?
Riccardo: Questo fenomeno fa sì che ognuno di noi faccia di tutto per restare all’interno del gioco, anche forzando la propria personalità. Con la scusa di essere adolescente, il ragazzo finirà per giustificare un sacco di comportamenti: dall’abbigliamento, alla sigaretta, al rispondere male ai genitori. La scusa è sempre la stessa: “In fondo lo fanno tutti, e siccome sono un adolescente anch’io, è giusto così”.
Antonia: Perché dici che i ragazzi vogliono a tutti i costi far parte del gioco?
Riccardo: Perché chiunque fosse fuori dal gruppo si troverebbe a combattere un problema molto, molto più grande di lui: la solitudine. Ogni adolescente ha paura di questa parola, perché in cuor suo si sente già solo.
Sembra assurdo parlare di solitudine nell’epoca dei social network: noi adolescenti non facciamo che scambiarci like e immagini, cuori rossi, feed…
Ma nella vita reale non ci sono i like. Non c’è un pollice in su o in giù, non ci sono soltanto le foto in cui vieni bene e che condividi: ci sei tu, il vero te stesso, continuamente esposto allo sguardo attento delle altre persone che non aspettano altro che una tua mancanza.
“Benvenuti nel mondo dell’immagine, benvenuti nel mondo della solitudine”. Questa è la scritta che si trova sulla porta per entrare nel nostro mondo. Ma noi dobbiamo uscire, chiudere quella porta e buttare via la chiave!
Antonia: Come è il rapporto con i tuoi genitori?
Riccardo: Sono molto fortunato: ho una famiglia che mi sostiene molto e sulla quale posso contare sempre. Forse il mio è un esempio che contribuisce a smantellare lo stereotipo del conflitto tra genitori e figli durante l’età adolescenziale: nel mio caso non è assolutamente così! Devo davvero tanto ai miei, e mi confido spesso con loro.
Antonia: Che bello! Ma quindi, secondo te, noi adulti come vediamo il vostro mondo? Vi capiamo abbastanza o siamo ancora molto lontani?
Riccardo: Ma, sai, ciò che noi adolescenti vogliamo dagli adulti non è essere compresi. A noi interessa il vostro giudizio nei nostri confronti: sempre di più noi millennials siamo considerati narcisisti, pigri, pragmatici, viziati e superficiali… E la situazione peggiora se pensi che continuiamo a sentirci dire che non saremo in grado di sopravvivere al modello economico sociale attuale e che non ci sarà posto per tutti. E, se da piccolo avevi paura del buio, ora inizi ad avere paura del futuro.
Ti trovi di fronte ad un burrone. L’altra estremità è lontana centinaia di metri e sotto di te c’è il vuoto. E tu hai costruito solamente 2, 3 metri di ponte. Allora ti chiedi: “Ce la farò ad arrivare dall’altra parte?”. Il problema, vedi, è che non c’è certezza di arrivarci, e forse sarai proprio tu quello non ce la farà. Forse il tuo ponte crollerà o non sarai abbastanza veloce e bravo a costruirlo. Cresciamo in un mondo gravido di minacce, e temiamo di non veder realizzate quelle promesse che ci facevano da piccoli.
I media e gli adulti ci mostrano immagini di un futuro caratterizzato da disoccupazione, povertà, disastri ambientali, rischi di guerre locali e globali. Ti dicono che dovrai saper gestire il rischio, che dovrai essere competitivo in maniera estrema. Noi incolpiamo continuamente gli adulti di essere responsabili dello stato del mondo in cui ci troviamo, e quello che non sopporto è vedere è un divario generazionale che si manifesta quasi in una gara in chi farà o ha fatto meglio.
Ma stiamo sbagliando, perché le differenze generazionali dovrebbero essere uno stimolo per giungere a una visione migliore del futuro. Le persone delle generazioni passate hanno creato e ci hanno consegnato quegli strumenti che oggi noi siamo sappiamo utilizzare meglio di loro, e loro lo sanno: e questa capacità dovrebbe essere sfruttata, e non continuamente contestata o derisa. Dobbiamo cambiare! Smettiamola di trovare capri espiatori reciproci e di vittimizzarci!
Antonia: Giusto per curiosità, cosa ti ha spinto di voler parlare di questi argomenti?
Riccardo: Una domanda. Una domanda molto semplice che mi è stata ripetuta un sacco di volte. Era il primo giorno di scuola superiore, quando il professore mi chiese: “Che cosa vuoi fare da grande?”. Da piccolo ho sempre sognato di fare un sacco di cose, come tutti i bambini del resto… dal giornalista all’astronauta! Eppure di fronte a quella domanda, a quindici anni, mi sono accorto che la lista delle cose che volevo fare da bambino era scomparsa, non c’era più. In quel momento ho capito che stavo perdendo i miei sogni. E questo è stato il primo problema che ho notato nei miei attuali coetanei e che mi ha spinto a voler parlare di questo argomento: gli adolescenti non sognano più.
Antonia: Questo è dovuto a qualcosa in particolare, secondo te?
Riccardo: Sì, certo: personalmente credo che, in questo caso, il discorso dei social network e quello scolastico si fondano perfettamente.
La tecnologia ci ha dato i mezzi per spaziare, e noi ci siamo chiusi in noi stessi. È il paradosso della nostra generazione: avremmo i mezzi per volare ma stiamo andando a piedi. Siamo immersi nei social media ma non c’è comunicazione, non c’è confronto, anche se queste invenzioni si basano sulla possibilità di condividere esperienze umane, di pensiero, idee. Invece i social sono diventati semplici vetrine di superficialità, e ci siamo dimenticati di comunicare. E questo è il più grande torto che potevamo fare a noi stessi perché ci neghiamo da soli la possibilità di esprimere i nostri pensieri più profondi. Noi adolescenti ci consideriamo stupidi e privi di aspirazioni, ci consideriamo nullità non perché non abbiamo sogni, ma perché nessuno li ascolta davvero!
Dobbiamo creare occasioni di confronto delle idee, dobbiamo costruire nuovi crocevia in cui incontrarci, non possiamo permettere al nostro pensiero di morire. Come le rose che appassiscono, stiamo perdendo i petali dei nostri talenti. Volano via e non li riprenderemo più. Ma li abbiamo, li avete, solo che nessuno, semplicemente, ci ha mai spiegato come usarli, e per questo li stiamo perdendo. Costruiamo nuovi punti di incontro per le nostre idee, in modo da smentire gli adulti che ci considerano solo corpi vaganti senza ideologie o con miti vuoti. Siamo molto di più di quello che si dice sugli adolescenti, ma dobbiamo cambiare, accidenti! Tutti i ragazzi dovrebbero poter esprimere le loro opinioni, a partire dalla scuola! Chiediamo ai nostri insegnanti di costruire delle incubatrici di idee all’interno delle classi, valorizziamo progetti che diano importanza ai nostri pensieri affinché vengano ascoltati e non rimangano polvere destinata a soffocare la creatività.
È forse l’unico modo per diventare meno social, ma più socievoli!
Antonia: Credi che la situazione si possa migliorare? In che modo?
Riccardo: Assolutamente sì! Il cambiamento deve partire da noi. Per mesi ho cercato, approfondito, studiato e infine individuato una formula che ho presentato sul palco di TEDxYouth@Roma 2019 e che io considero risolutiva per tutti questi problemi:
F = (R + C + D) x A [1]
Nella quale:
F sta per Felicità, R indica il Ritmo di vita, C rappresenta la Creatività, D la Differenza generazionale e A l’Atteggiamento con quale ci mettiamo in relazione.
Un giorno lessi una frase che diceva: “L’adolescenza è un brufolo che ti viene nel cuore”. E se invece di un brufolo, ci fosse una rosa?
Questa è la formula giusta!
Ma questa è un’altra storia. E spero di potervela spiegare nel prossimo articolo!
Certamente Riccardo, alla prossima intervista.
Antonia Caprella.