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"La migliore offerta" di Giuseppe Tornatore, quegli ingranaggi che diventano labirinti

La migliore offerta, di Giuseppe Tornatore - LA RECENSIONE. "Quando pensi che con una donna è fatta, perdi il senso della strategia". Così Billy (Donald Sutherland), legato a Virgil Oldman (Geoffrey Rush) da una lunga amicizia e dalla complicità in tante aste truccate, sentenzia all'amico, antiquario sessantenne di grido, occhio da lince per i Petrus Christus ed ogni sorta di diavoleria antiquaria, ma in ambasce quando deve oliare i meccanismi della seduzione e del corteggiamento: lui che, guanti raffinati ed ipocondriaci, ha condotto un’esistenza lussuosa ed isolante, concedendosi col contagocce persino alle tv, smaniose d’intervistare l’autorità indiscussa nel campo. Un giorno, però, è preso in contropiede invisibile: a quell’occhio, che tutto indaga senza farsi indagare, si cela con ostinazione tale Claire Ibbetson (Sylvia Hoeks), ereditiera intenzionata a far valutare il proprio variegato ed ingente patrimonio, senza tuttavia uscire dalle “segrete” della propria villa. Agorafobia, pare. Virgil – anzi, Mr. Oldman – è tentato di scardinarla: un’impresa, un rovello, almeno quanto ricostruire, rotella per rotella, gli ingranaggi di un automa del ‘700 di Jacques da Vaucanson, le cui ferraglie vengono alla luce dalle stanze del casone. Automa, agorafobica e misantropo vengono allo scoperto a poco a poco, con tempi e modalità drammaticamente combinati.[MORE]

E quando pensi che col film sia fatta, perdi il senso della strategia spettatoriale, pure. Perché La migliore offerta, come nell’incalzare di un gioco al rialzo, si avvita su se stesso, in un’inafferrabile serpentina simil-manierista di disvelamenti e lucidature visive: di quelle che da Tornatore, in fin dei conti, ci si aspetta. Così come ci si aspettano le infinite carrellate all’indietro, i virtuosismi della macchina da presa, le ricadute quasi-melodrammatiche, i doppi finali – se non tripli (salti mortali). Sicché, in fin dei conti, La migliore offerta non è un film imprevedibile come vorrebbero i colpi di scena e l’orchestrazione da thriller: ma ciò non vuol dire che non sorprenda. Proprio come l’automa di Vaucanson in ricostruzione, il film si lascia apprezzare per la perfetta collimazione degli ingranaggi, come ingegneria cinematografica di alta scuola e, ad un tempo, come fenomeno da fiera hollywoodiana. Un prestigio alla Hugo Cabret, un gioco di specchi sul cinema, sul confine tra arte e vita, tra vero e falso, verità ed artificio e tutto il codazzo strategico\tematico che si porta dietro il mantra di Mr. Oldman\Tornatore: "In ogni falso si nasconde sempre qualcosa di autentico".

L’autentico de La migliore offerta risiede, prima di tutto, nel fatto che il meccanismo sia scoperto ed i parallelismi ora più smaccati, ora più intricati, specie quello tra l’automa che prende forma e Claire che si rivela gradualmente: allo spettatore è dato valutare uno scheletro, una trama che emerge per scarnificazione nelle proprie stupefacenti articolazioni. In seconda istanza, Geoffrey Rush tiene la scena da veterano, con un’interpretazione senza sbavature, come una cravatta abbinata perfettamente ad un panciotto. Ancora, incombe sui personaggi – specie nella prima parte – un’atmosfera da opera d’arte maledetta, con ambientazioni fascinose e grevi cesellate dalla fotografia di Fabio Zamarion (già David di Donatello nel 2007 per Tornatore con La sconosciuta).

Quest’aria ponderosa, gestante, è nutrita dal rapporto tra i personaggi e quell’ambiente. C’è una scena del film in cui il giovane manutentore (Jim Sturgess) che aiuta Mr. Oldman a riassemblare l’automa afferma, nell’indagare sui pezzi di volta in volta recatigli, che quando due pezzi di un meccanismo sono stati a lungo combacianti, hanno preso ognuno qualcosa dell’altro. E così, Claire sembra la materializzazione progressiva di uno dei tanti ritratti femminili della camera-cassaforte di Mr. Oldman, così come lo stringersi sempre più intenso dei rapporti tra i due è segnato, dal punto di vista dello spazio cinematografico, dalla progressiva “invasione” delle zone d’ombre – fisiche e non – che Claire consente all’antiquario. L’incastro emotivo dei due diventa quindi imbocco di nuove vie, apertura di forzieri, disserrarsi di porte e possibilità narrative: l’ingranaggio si è fatto labirinto psico-fisico, labirinto dello sguardo.

La stucchevolezza resta in soffitta, dunque, o Tornatore è un falsario di emozioni? Dipende dal grado di claustrofobia dello spettatore, che in questo ingranaggio che diventa labirinto, in questo meccanismo ad orologeria dall’assordante tic tac di svolte repentine e cadenzati cambiamenti, può tanto cedere alla lusinga di un’offerta così ordinatamente catalogata, che avvertire la sensazione di essere schiacciato dalle pareti di una camera delle meraviglie approntata da un imbonitore. Ma tant’è: le meraviglie – più che la meraviglia – non mancano, l'offerta è consistente. Colonna sonora\carillon di Ennio Morricone.

(in alto a sinistra: il manifesto del film)

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Antonio Maiorino