Cultura e Spettacolo

La mafia, la Chiesa e Dio


“… nostro Signore Gesù Cristo. Dovrà giurare con la figura di San Michele Arcangelo tra le sue mani mentre brucia e dovrà pronunciare: Io giuro dinanzi a questa società di essere fedele con i miei compagni e di rinnegare padre, madre, sorelle e fratelli e se necessario, anche il mio stesso sangue.”
Queste sono alcune della parole che compongono il rito di iniziazione o il battesimo alla ndrangheta- “Calice d’argento, ostia consacrata, parole d’omertà è formata la società”.[MORE]


E sono ancora vive le immagini filmate dalle forze dell’ordine al santuario della Madonna di Polsi, in Aspromonte, dove i capobastone eleggevano il capo della “cupola” dell’organizzazione criminale calabrese, la più potente d’Italia.


La religiosità dei mafiosi, una "religione capovolta" tagliata su misura per le sue esigenze di autoassoluzione, il loro rapporto con la chiesa e il rapporto ambiguo della chiesa stessa con i mafiosi sono stati ampiamente affrontati da Alessandra Dino, docente di sociologia giuridica all’università di Palermo, nel libro “La mafia devota”.
La Dino, attraverso il racconto di episodi accaduti, mostra il volto della devozione mafiosa alla chiesa cattolica, un modo per avere “consenso sociale”, ma anche una religiosità vissuta in modo diverso, senza sensi di colpa legati ai crimini commessi. I mafiosi non vivono conflitti morali, perché “sono chiamati ad occuparsi della giustizia sociale”.


Esemplari, da questo punto di vista, i ricordi di un pentito: “io dopo un omicidio, per dire, me ne ieva in chiesa e ci ieva a dumannari pirdunu ‘o Signuri” o le riflessioni di Leonardo Messina: “Sa che ora, davanti a Cristo, mi sento un traditore? Quando ero un assassino andavo in chiesa con animo tranquillo. Ora che sono un pentito no, non prego serenamente”.

La Dino però punta il dito anche contro l’atteggiamento ambiguo della chiesa nei confronti dei mafiosi, accusandola di “camminare” insieme ad alcuni personaggi macchiati di crimini efferati.
Come per la festa di S.Agata a Catania. Racconta la Dino, che la festa religiosa più importante d’Europa per numero di fedeli, se ne contano ogni anno un milione, è tutta in mano all’organizzazione mafiosa, che ne gestisce gli introiti.


Secondo Alessandra Dino nel 2004, per festeggiare Giuseppe Mangion, detto “u zu’ Pippu”, la processione fu deviata nel suo percorso tradizionale per sostare sotto la casa del mafioso. Alla testa della processione c’era l’arcivescovo di Catania, Salvatore Gristina.
La prova di forza di far deviare una processione è funzionale agli occhi del popolo, che tasta con mano l’elevata potenza del boss di turno.

La Dino accusa la chiesa di non aver mai voluto affrontare il problema in maniera diretta. Esistono certamente alcuni esempi di lotta diretta alle organizzazioni mafiose, celebri le condotte di don Peppino Diana a Casal di Principe e don Puglisi a Palermo, che hanno perso la vita per combattere il male su questa Terra. Ma secondo la Dino, la chiesa ha avuto un atteggiamento ambiguo perché spostava l’oggetto del suo compito sulla salvezza delle anime. La sociologa pone un esempio di questo atteggiamento raccontando un episodio del 1998. In occasione del funerale di Salvatore Greco, detto “il senatore”, fratello del boss Michele Greco, detto “il papa”, il sacerdote pronunciò queste parole “Solo la giustizia divina non sbaglia mai, solo la giustizia umana può sbagliarsi. Quest’uomo sarà giudicato da Dio”. Come a dire, le sue azioni non siamo in grado di giudicarle, il suo operato non ci interessa.


Dino poi parla del riciclaggio di denaro che i mafiosi nordamericani facevano con la Sicilia attraverso le donazioni religiose, con buona pace del clero, che “sembrava” non accorgersi.
La Dino descrive una chiesa che deve assumersi responsabilità maggiori nell’ambito, aprendo gli occhi alla società e spezzando l’ambiguità della religiosità mafiosa. Nel 1993 Giovanni Paolo II in Sicilia, davanti a migliaia di fedeli, pronunciava queste frasi: “Dio ha detto una volta non uccidere. Non può un uomo, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio”.
Ne seguirono 3 attentati mafiosi, uno a Milano e due a Roma, nelle chiese di San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano.