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"La grande bellezza" di Paolo Sorrentino, vacanze romane dei freaks
La grande bellezza di Paolo Sorrentino: la recensione. Un colpo a salve dello starter – dal cannone del Gianicolo, dritto nell’occhio dello spettatore. E via ai canti celestiali di un coro femminile all’Acqua Paola, mentre un colpo – vero – fa stramazzare un turista giapponese: altro che foto da mettere su Image Shack, gli è preso un image shock, perché la bellezza logora. Anche chi non ce l’ha: e via! di nuovo – questa volta alle danze, alla festa di Jep Gambardella (Toni Servillo), scrittore (di un unico romanzo, 40 anni prima) e re della mondanità, con una corte kitsch tripudiante nei flash della disco notturna, che fa sudare cortigiane scosciate, parvenu, campatori e campatrici persi nei Campari, compari di festini, pacchiani ben vestiti e benpensanti, non-pensanti, aspiranti letterati ed aspiratori di cocaina. Un doppio incipit, all’insegna del tema vacanze romane: di quelli che ci vengono, a Roma, per ammirare le statue d’arte ed inalare l’atmosfera antica, e di quelli che sono in vacanza da una vita a mo’ di statue (Servillo\Jep: “che lavoro fai?”; Isabella Ferrari\Orietta: “la ricca”; ancora Jep: “bel lavoro”).[MORE]
DOLCE VITA O VITA AGRA? - Roma, ed un cantore che ha perso il canto, quel Jep col blocco dello scrittore, condannato(si) a fare della propria sensibilità un pretesto per blande fustigazioni dei romani à la page, frequentati in quelli feste di cui pare essere diventato un novello Petronio, arbitro dell’(in)eleganza. Roma must be the place, insomma, della crisi pre-senile di un senatore dei party: e così via, in un aggregato di episodi che oscillano tra il drammatico semi-serio ed il grottesco artistico, con due o tre funerali, qualche scopata e qualche gita, gente sull’orlo di una crisi di nervi attaccata all’orlo di un bicchiere e performance pseudo-artstiche. Oscillano, per la precisione, nel grande vuoto. La dolce vita? Di notte, al massimo: per il resto, a noi sembra La vita agra del dolce far niente.
La grande bellezza di Paolo Sorrentino, di fatto, è un dichiarato film sul niente, a partire dal manifesto con Servillo che cammina nel nulla. È lo stesso Servillo\Jep a servire su uno dei tanti piatti d’argento, come le posate, lo spunto per una lettura in questo senso: quando dice, nell'ennesimo dei convivi annoiati sul terrazzino di casa, che Flaubert aveva l’ambizione di scrivere un romanzo sul niente. Confesserà lui stesso, d’altronde, di non essere riuscito a scrivere altro, dopo l’esordio col romanzo giovanile L’apparato umano, poiché smarritosi nella ricerca sterile di una bellezza che non c’è. Significativo, di contro, il fatto che l’opera di esordio fosse stata partorita nel clima emotivo di un innamoramento irripetibile (“dovevi essere molto innamorato”), in questi tempi di fidanzamento su commissione televisiva. Da buon film non bello, quanto d’intelligente ricognizione sull’assenza della bellezza, dall’immaginario televisivo Sorrentino attinge a piene mani, come da un vuoto catodico che sia diventato vuoto caotico.
Ne vien fuori una versione anni duemila di involontari Freaks dei Parioli, devianti per troppo conformismo, con la macchina da presa che approfitta delle scene di ballo per indulgere sulla versione fisica di una bruttura morale. Idea tanto più scoperta nella scena in cui Jep, all’ennesimo party che rischiava però di prendere una piega filosofica, smaschera le “menzogne” – così le chiama – dell’amica, scrittrice impegnata di partito, che millanta impegno civile, ma, madre distratta e letterata raccomandata, altro non è che “uno di noi! Uno di noi!", ossia uno dei tanti vacui infelici che si fanno compagnia tra caipirinha e mal di capa. Si potrà contestare al regista la conduzione rapsodica e caricata, una gallery della carica dei 101 da discarica: per fare, però, mea culpa un istante dopo, nel ravvisare la somiglianza tra le scene di ballo sfrenato, con i volti deformati di baccanti col pannolone, e la striscia televisiva dell’ora di pranzo, con uomini e donne dalla terza in su, anche di età.
CARICATURE DALLA DISCARICA - Non è, dunque, disarticolazione della sceneggiatura, ma è andamento per epigrammi visivi, la versione moderna – cinematografica – di quelli di Marziale, che se avesse avuto una cinepresa, l’avrebbe usata così, per questa umanita sceneggiante. E proprio come diceva l’antico scrittore latino, “la nostra pagina ha il sapore dell’uomo”: caricato, da rasentare a tratti lo sgradevole per retorica e per barocchismo – ma è un sapore, rispetto a tanto cinema insipido. Col coraggio della propria acutezza di sguardo, Sorrentino va incontro, certo, ad angles più riusciti, come la litania recitante, sospesa tra pianto e riso amaro, della scena del funerale – guarda caso, di un freak, un giovanotto dal disagio mentale, in fondo non così diverso dai modaioli che lo circondano, se non per maggiore profondità; ed altri forse leggermente sbilenchi, come quello dei fenicotteri che riposano sul balcone di Jep, mentre la santona ospitata dallo scrittore dispensa pillole di bibbia per i ricchi.
Non mancano nemmeno le giraffe, a far compagnia a questa umanità più o meno bestiale: in cui Buccirosso sembra catapultato da un film di Salemme con lo scopo di non prendersi troppo sul serio, e Verdone… da un film di Verdone, con una spruzzata al più di malinconia; Serena Grandi in accorto formato sformato, da Rimini Rimini a Roma Roma incarna, con tanta carne, il personaggio della soubrette inutile, ma non inutilizzata; e menzione d’onore per una principesca Sabrina Ferilli nei panni di Ramona, spogliarellista di mezza età di colorata naiveté, di una bellezza dialettale ed umana che spicca, col pieno delle forme di un’anima semplice, nel vuoto di tanti animali.
In questa society della finzione – ed usiamo il termine in inglese, forse per reminiscenza del film horror di Bryan Yuzna sull’alta borghesia americana – anche l’arte e la religione partecipano alla fiera delle vanità, entrambe con modelli negativi e positivi: Talia Concept (Anita Kravos), l’artista che esegue la propria performance sbattendo la testa sul muro e delira su vibrazioni e vibratori, sembra una Marina Abramovic che fa la supercazzola, mentre il cardinale (Roberto Herlitzka) che da ricettacolo di sapienza si trasforma in ricettario ambulante, è esso stesso intrinsecamente televisivo: i menù del Benedetto. I due contraltari positivi ci sarebbero, ma sembrano stritolati dal Sistema, proprio come la sensibilità di Jepp: la ragazzina costretta dal padre collezionista a performance pittoriche, è trasformata in gallina dalle uova d’oro, ma piange lacrime vere; la suor Maria – che somiglia a Madre Teresa – accolta con onori da clero e giornalismo romano, è messa su un trono tra i fotografi, tipo tronista, ma sa scenderne per dormire a terra o percorrere ginocchioni le scalinate.
A FAR L'AMORE COMINCIA LUI - Non si può, dunque, liquidare La grande bellezza di Paolo Sorrentino come sterile prodigio dell’illusione ottica: il film sembra lungo ed eccessivo, come il colonnato prospettico di Palazzo Spada del Borromini, che la Ferilli\Ramona percorre fisicamente per poi accorgersi che era cortissimo, frutto di uno stratagemma dello sguard (distanza delle colonne che si accorcia e livello del suolo saliente). Moraleggiante quel congegno barocco, che porta ad un finto giardino delle illusioni, e che lo storico dell'arte Erwin Panofsky definì “diabolico”; e diabolico, in prospettiva visiva, il film di Sorrentino, funzionale alla vacuità morale del suo cannocchiale ottico, e come tale a rischio della taccia di “moralista”. È vero, sembra che a far l’amore cominci lui, e prosegui lui soltanto con un atto impuro: ma come non amare l’attesa dilatata all’inverosimile di quella camicetta aperta in flashback della giovane fiamma di Jep diciottenne, in un ricordo che condensa l’overdose di bellezza con cui campare per quarant’anni di astinenza? Le tette meno volgari degli ultimi anni di cinema (e tv), almeno quanto quelle della Fornarina di Raffaello, che pure fanno capolino. Sarà un freak dello sguardo, l’ultimo Sorrentino: ma quanto ci piace la sua differenza.
Regia: Paolo Sorrentino
Interpreti: Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Serena Grandi, Vernon Dobtcheff, Isabella Ferrari, Luca Marinelli, Giorgio Pasotti, Giulia Di Quilio, Massimo Popolizio, Giorgia Ferrero, Roberto Herlitzka, Carlo Buccirosso, Pamela Villoresi, Ivan Franek, Stefano Fregni
Origine: Italia, Francia, 2013
Distribuzione: Medusa FIlm
Durata: 110’
Antonio Maiorino
Critico d'arte e di cinema
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