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"La grande bellezza" di Paolo Sorrentino, una bellezza fatta di ruderi e tempo perduto
La grande bellezza, sesto lungometraggio di Paolo Sorrentino, esce nelle sale italiane il 21 maggio 2013 contemporaneamente alla presentazione al 66º Festival di Cannes.
La grande bellezza è un’omelia funebre, prolissa e sentenziosa, intonata alla decadenza di Roma, dove l’ironia divenuta sarcasmo e la depressione trasformata in cinismo la fanno da padrone in discorsi ridondanti, arricchiti di citazioni letterarie, sullo sfondo di una sfacciata volgarità, esibita come simbolo della degenerazione morale.
Sorrentino ha così costruito un’ambigua equazione in cui la grandezza monumentale di Roma, che si rispecchia nell’estetica autoriale e nella maestria registica, viene contrapposta al degrado di un bestiario umano in un susseguirsi di inquadrature allucinate; il sentimento nostalgico di una bellezza dimenticata o perduta, mezzo di riscatto verso la salvezza, affoga in atmosfere da burlesque.
La storia è ambientata a Roma nello splendore dell’estate. Jep Gambardella, giornalista e seduttore impenitente, che ha scritto solo un romanzo in gioventù, a 65 anni è ormai uno scrittore frustrato che nasconde disperazione e solitudine dietro un atteggiamento cinico e sarcastico; con sguardo narcisistico e disincantato Jep Gambardella osserva e giudica cose e persone della sua città.[MORE]
Dov’è la Grande Bellezza? Che cos’è? Più che legittimo voler scoprire il senso di un messaggio che l’incipit presenta delicato e profondo ma che appena preannunciato è subito sepolto da chilometri di inquadrature, di impeccabile maestria, in gara fra loro più che al servizio della storia raccontata.
La prima parte del film mostra già ciò che la seconda cerca di indagare, mentre l’autore vorrebbe spiegare il senso della grande bellezza – e del suo film - citando un frammento tratto da Viaggio al termine della notte di Céline, poi facendo dire al protagonista Quando, da giovane, mi chiedevano: cosa c’è di più bello nella vita? E tutti rispondevano la fessa!, io solo rispondevo: l’odore delle case dei vecchi. Ero condannato alla sensibilità.
Una sensibilità che durante tutta la vita Jep Gambardella rinnega, vivendo in eclatante e lucida opposizione come il re dei mondani, per scoprire alla fine, troppo tardi, che il senso dell’esistenza è una grande bellezza oramai morta e muta, pietrificata: i ruderi di Roma (che ne evocano il glorioso passato) quanto i ricordi d’adolescenza che non hanno avuto realtà e prosieguo. Una verità di bellezza immutabile, eterna, assoluta ma inevitabilmente inattuabile, se fatta di ruderi e tempo perduto, costruita e pensata per non avere alcun accesso al presente, per legittimarne, indirettamente, lo sfacelo, contribuendo a diffondere un sentimento di impotenza e decadenza.
Che cosa avete contro la nostalgia? E’ l’unico svago per chi è diffidente verso il futuro.
Ma è davvero solo questo che ci resta? Non è forse solo il pensiero più comodo?
Il film contiene e trasmette un messaggio che oscilla fra il fatalismo sterile e la nostalgica malinconia, emozioni futili con cui si vorrebbero aggredire in modo titanico i sentimenti di cinismo e depressione che pervadono la società.
La sola forza titanica messa in campo è invece lo sfoggio autoriale condito con quello di suprema maestria fotografica impreziosito da citazioni che ne vorrebbero essere ispirazione intellettuale: l’occhiolino a Fellini, a Céline, Flaubert, Proust. (Altrettanto inutili dal punto di vista artistico, dal momento che non basta una bella fotografia né uno strabiliante movimento della macchina da presa per realizzare un’opera d’arte). Poi la clamorosa rivelazione finale è solo un trucco - presa in prestito al territorio dell’illusione - vorrebbe essere deus ex machina della storia al fine di evitare, con eleganza, la necessità di prendere una posizione veramente reazionaria, veramente responsabile e coraggiosa, di fronte alla situazione del proprio Paese e del proprio sistema di valori, depravato e corrotto.
La grande bellezza è dunque un’inutile dimostrazione di bravura, una solenne cerimonia cinematografica ad ornamento di un messaggio che esalta la rassegnazione filosofica in nome di un ideale di ispirazione artistica banalmente narcisistico, innamorato a tal punto della propria immagine corrotta da farne persino un’esaltazione visiva.
L’ultimo lavoro di Sorrentino si configura come la ricerca estenuante di un’estetica fine a se stessa che, tentando di star dietro ad un contenuto infinitesimale in confronto alla chiassosa messa in scena, scade nel ridicolo e nel grottesco e confina ampiamente con il vuoto.
Regia: Paolo Sorrentino
Interpreti: Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Serena Grandi, Vernon Dobtcheff, Isabella Ferrari, Luca Marinelli, Giorgio Pasotti, Giulia Di Quilio, Massimo Popolizio, Giorgia Ferrero, Roberto Herlitzka, Carlo Buccirosso, Pamela Villoresi, Ivan Franek, Stefano Fregni
Origine: Italia, Francia, 2013
Distribuzione: Medusa FIlm
Durata: 110’
(In foto Toni Servillo/Jep Gambardella)
Qui la recensione di Antonio Maiorino
Gisella Rotiroti