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"La fine del mondo" di Edgar Wright, a che ora è la fine del tonto
LA FINE DEL MONDO DI EDGAR WRIGHT, LA RECENSIONE - È vero che l’umorismo British non sempre riesce a solleticare le corde dello spettatore italiano, ma se il linguaggio della creatività è universale, La fine del mondo di Edgar Wright si prospetta come un armageddon di occhi stropicciati per lacrime da risate e stupore all around the world. E non tanto per la prima mezz’ora, apparente riedizione di sballate commedie birraiole: ma è tutto un piano, fidatevi. [MORE]E a proposito di piani, quello di Gary (Simon Pegg, anche allo script), quaranta-e-qualcosa anni che di cresciuti ha solo i capelli, è di convincere quattro vecchi amici a completare un’impresa rimasta in sospeso anni prima: il Miglio d’Oro, ossia un percorso lungo 12 pub nella cittadina di Newton Haven, trincando una pinta alla volta, fino all’ultimo locale, The Wold’s End. Si erano fermati da giovani, divertendosi, a sei – ed ora, forse non hanno l’età: Oliver (Martin Freeman) è un agente immobiliare, Peter (Eddie Marsan) vende auto ed è sposato, Steven (Paddy Considine) è un boss delle costruzioni ma ha sfasciato un matrimonio, Andrew (Nick Frost) è un pacioso ed irritabile avvocato diventato semi-astemio. Storditi dalla logorrea di Gary più che convinti, partono: fin troppo eleganti, fin troppo controllati – tranne Gary con la maglia dei Sisters of Mercy. Boccali all’insù col braccino corto, ma poi qualcosa li farà rimanere a bocca aperta.
IL TRAMONTO DEI VIVI DEMENTI – La fine del mondo di Edgar Wright è uno di quei pochi film dei quali, se si spiegasse con maggior dovizia la trama, si rovinerebbero clamorose sorprese. Ma intanto è innocuo rimarcare come il regista, noto per parodici omaggi al cinema americano con L’alba dei morti dementi (Romero) e Hot Fuzz (Michael Bay), riesca a conseguire un fortunato equilibrio tra il divertente ed il divertimento, in questo terzo capitolo della cosiddetta Trilogia del cornetto, mescolando azione e comicità, ancora una volta strizzando l’occhio al cinema del passato, con un alveare di citazioni ed un’attenzione particolare ai classici della fantascienza degli anni ’50: così seriosamente spassosi. E non è sola questione di generi: questa lente cinematografica consente a Wright, come già nella precedente apocalisse formato zombie, di trovare una forma seducente ed immediata per raccontare “i nuovi mostri”, impiegatucoli e businessmen come atrofizzati da famiglia e lavoro, finché non arriva lo shock adrenalinico dell’immaturo di turno alla Trainspotting, pronto a sfasciare “il maxitelevisore del cazzo”. Il signor nessuno di turno è proprio Gary, che di cognome fa King: difende il reame della propria libertà, ma soprattutto è il paladino di un’anti-epica campata in aria, donchisciottesca, in cui l’onore massimo di cui investirsi ad ogni costo è bere dal sacro graal dell’ultimo boccale al pub The World’s End. “Come i cinque moschettieri!” – “Non erano i tre moschettieri?” – “Quattro contando D’Artagnan” – “Be’, nessuno sa davvero quanti fossero, giusto? La storia è imprecisa”. Alticci al potere contro bassi contabili. Meglio poco seri, magari out of order, che funzionanti in serie come robot.
HOT FAKE – Solo in apparenza, allora, la prima mezz’ora pare rievocare imprese di gruppo in stile Una notte da leoni, con logorrea doppia ed una retorica che si comincia ad apprezzare quando si capisce, più pienamente, che il regista “ci fa”. È, semmai, una notte da cloni, in cui lo scatenarsi di eventi imprevedibili farà scatenare imprevedibili pulsioni destinate a scompaginare la routine del dover interpretare gli ordinati sé stessi: da dichiarazioni d’amore rimaste in sospeso da decenni, a pullover e giacche strappate per combattimenti forsennati, da precipitose fughe (anche da "fighe") fino a classiche improvvisate da autisti bulldozer che sfondano muri con le auto. E poco importa se, in fin dei conti, lo stesso Gary, vessillifero della libertà, libero davvero non è, visto che insegue a sua volta uno stereotipo: un moschettiere con le armi letali, un Rambo versione urban, un guerriero della notte, tipo fool on the Hill (Walter). Come dire: è sempre meglio che il lavaggio del cervello te lo faccia Hollywood, piuttosto che Wall Street. Almeno ti resta la capacità di sognare, e dentro c’è ancora un cuore che pulsa (e qualche litro di birra), piuttosto che una poltiglia bluastra.
La fine del mondo di Edgar Wright, spassoso ed a spasso nel tempo cinematografico con una miriade di riferimenti incrociati, consolida la tendenza del regista a raccontare piccoli drammi universali come commedie o parodie della Universal, divertendo con intelligente sospensione della ragione nelle regioni dello più sfrenato entertainment.
USCITA CINEMA: 26/09/2013
GENERE: Commedia
REGIA: Edgar Wright
SCENEGGIATURA: Edgar Wright, Simon Pegg
ATTORI: Simon Pegg, Nick Frost, David Bradley, Mark Heap, John Duggan, Eddie Marsan, Paddy Considine, Martin Freeman, Rosamund Pike
Ruoli ed Interpreti
PRODUZIONE: Big Talk Productions, Working Title Films
DISTRIBUZIONE: Universal Pictures
PAESE: Gran Bretagna 2013
DURATA: 109 Min
Antonio Maiorino
Critico cinematografico e d'arte
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