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La delusione dell'ex Sindaco Lucano, 'ho aiutato gli altri. 'Al Viminale risolvevo problema'. Per antimafia 'impresentabile'
La delusione dell'ex Sindaco Lucano,'ho aiutato gli altri, lo Stato mi ripaga così' 'Al Viminale risolvevo problema'. Per antimafia 'impresentabile'
RIACE, 01 OTT - Il giorno dopo la condanna a 13 anni e due mesi di reclusione, Mimmo Lucano cede alla tensione ed all'emozione per una solidarietà che forse neanche lui si aspettava così massiccia e diffusa e scoppia a piangere. Per tutto il giorno risponde ai giornalisti accorsi a Riace per la manifestazione promossa in suo favore mantenendo il tono di voce pacato. Ma al termine del suo intervento durante lo spettacolo che caratterizza la manifestazione, si porta una mano sugli occhi per coprire le lacrime che sgorgano, consolato dagli amici che gli sono vicini.
"Non ho nessuna cosa nella vita se non l'orgoglio di avere, per anni, inseguito un'ideale e di aver fatto delle cose che mi davano una fortissima gratificazione, essere di aiuto a tantissime persone arrivate a Riace in fuga dalle guerre, dalla povertà" ripete come un mantra Lucano e nelle stesse ore la Commissione antimafia lo definisce l'unico candidato 'impresentabile' alle prossime regionali, in cui corre per un posto all'assemblea come capolista di "Un'altra Calabria é possibile" in tutte e tre le circoscrizioni a sostegno del candidato presidente Luigi de Magistris.
"La cosa che fa più male è pensare che le persone possano avere dei dubbi su di me. Non ho paura della pena" dice ribandendo di avere "passato tutta la vita a rincorrere riscatti ideali" dando tutto se stesso. "Questi dubbi mi fanno male nell'anima. Non ho fatto questo per un secondo fine e lo dice anche l'accusa. Io mi sono speso fino in fondo".
E cita tre nomi simbolo dell'antimafia - Peppe Valarioti, Peppino Impastato e Rocco Gatto - come i suoi "mandanti". Ma Lucano è anche arrabbiato. Si attendeva l'assoluzione e invece ha avuto un condanna a 13 anni. Sono due le accuse, in particolare, che lo infastidiscono. Una è quella di associazione a delinquere. "Se sono colpevole - dice senza mezzi termini - dovevano mettere insieme a me anche il ministero degli Interni e la Prefettura di Reggio Calabria perché mi chiedevano numeri altissimi per un piccolo borgo ai quali dicevo sì per la mia missione.
E lo Stato come mi ripaga? Dandomi 13 anni e 2 mesi". E poi quella di peculato. "La stessa Procura - spiega - ha detto 'no questo sindaco non aveva motivazioni economiche sul piano personale, però ha fatto distrazioni'. Ma qua sta l'essenza del modello Riace. Con i soldi facevamo anche integrazione. Non potevo accettare che l'accoglienza fosse unilaterale, che riguardasse solo i rifugiati.
Ho pensato che doveva riguardare anche gli abitanti del luogo". Ma il suo pensiero, anche davanti ai 600 giunti da ogni parte della Calabria per fargli sentire la loro vicinanza, è sempre per i migranti. Stamani li ha incontrati nel "Villaggio globale", il simbolo del "modello Riace", dove, nel centro del paese, si trovano le botteghe artigiane aperte negli anni dai profughi giunti e rimasti in questo borgo collinare a 7 chilometri dal mare. Dal momento del suo arresto ai domiciliari, di migranti ne sono rimasti pochi.
Ed è ad una delle ragazze che qui hanno vissuto che va il pensiero di Lucano, Becky Moses, 26enne nigeriana morta il 27 gennaio 2018 in un rogo nella baraccopoli di San Ferdinando dove aveva trovato rifugio dopo essere stata costretta a lasciare Riace per la chiusura del progetto Cas. "Per due anni - dice Lucano alla platea che lo ascolta - ha vissuto a Riace ed era felice.
E dove è andata? Nella baraccopoli, nel mondo degli invisibili dove ha incontrato la morte. Per 4 mesi i suoi resti sono rimasti nell'obitorio. Mi hanno chiamato e adesso è nel cimitero di Riace, l'unico luogo che ha tentato di darle dignità da viva e da morte". Parole, che miste alla tensione, lo fanno sciogliere nel pianto.