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La conversazione su... Sicario con Benicio Del Toro
Sicario di Denis Villeneuve: LA CONVERSAZIONE - editoriale di cinema a cura di Antonio Maiorino
Pronti, via: un raid dell'FBI, una sparatoria, un museo degli orrori con cadaveri accuratamente incellofanati, un'esplosione. Non va per il sottile, Sicario di Denis Villeneuve, e con i morti trasporta subito nel vivo dell'azione. E poi, anestetizzandosi per quasi due terzi: per tutto il tempo in cui la giovane recluta interpretata da Emily Blunt non si raccapezza su finalità e modalità di svolgimento della missione in cui è stata assoldata. Il suo personaggio, che potrebbe per certi versi ricordare la Jessica Chastain di Zero Dark Thirty, è il trait d'union con lo spettatore: priva d'informazioni, quindi spiazzata e tesa come chi guarda il film, percepisce Benicio Del Toro, servitore della Difesa non meglio identificato, con lo stesso misto di timore reverenziale e fascinazione di chi è seduto in sala. [MORE]
Soprattutto, però, è il personaggio che s'interroga, si smarrisce, si tormenta, complicando quello che potrebbe apparire come un semplice film d'azione con cadenze thrilling. La partita, in effetti, si gioca alla frontiera tra queste due identità filmiche: il dramma ed il prodotto di genere. Funzionano entrambe, attestando ancora una volta come il canadese Denis Villeneuve, pur non essendo un riformatore della regia, è un buon "formatore", attento, cioè, alle implicazioni socio-politiche delle sue opere, ma allo stesso tempo concentrato sull'efficacia della forma cinematografica.
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Antonio Maiorino