L'esperto risponde
La Compassione in Psicoterapia: un nuovo approccio ai disturbi mentali?
Partiamo dal presupposto secondo il quale i clienti ricercano la psicoterapia per alleviare la loro sofferenza e si aspettano che il terapeuta li aiuterà.
Poco, tuttavia, si sa sulla natura della compassione del terapeuta o sull'impatto che la compassione possa avere in terapia.
Sono il dottor Francesco Minelli, Psicologo Psicoterapeuta (link: https://francescominellipsicologo.it/) a Roma e in questo articolo vorrei parlare proprio di questo argomento.
Imparare a riconoscere la sofferenza e accoglierla con compassione sta diventando, con il tempo, uno degli elementi principali della mia pratica terapeutica.
Sto osservando che questo metodo può essere enormemente efficace nell'aiutare i pazienti che sperimentano sofferenze di vario tipo, così come traumi, depressione o disturbi ansiosi.
Cosa si intende per Compassione di Sé?
Paul Gilbert (2005) ha descritto la compassione come:
"Essere aperti alla sofferenza di sé e degli altri in modo non giudicante, con il desiderio di alleviarla"
In questo senso sembra intimamente legata alla pratica della mindfulness (un modo di prestare attenzione al momento presente con la completa accettazione dei nostri pensieri, sentimenti e sensazioni corporee).
La Compassione di Sé deriva perciò dalla comprensione che ogni essere umano soffre, che tutti vogliamo essere felici ma spesso non sappiamo come fare e che questa comunanza ci connette ad un livello profondo.
Comprendere queste verità, riconoscere le nostre vulnerabilità e praticare più gentilezza e comprensione verso noi stessi è il nucleo della Compassione verso se stessi.
Quando ciò avviene in terapia può essere enormemente trasformativo e curativo.
La compassione sembra, infatti, essere suscitata quando i terapeuti si collegano alla sofferenza dei clienti e sono in grado di comprenderla e identificarsi con essa.
Quando le persone possono sviluppare più compassione verso loro stesse, possono muoversi più facilmente attraverso le loro sofferenze, perdonare gli errori e diventare più comprensive verso le loro vulnerabilità.
Esiste un gran numero di ricerche (link: https://self-compassion.org/the-research/) che si focalizza ed esplora quanto la compassione abbia effetti positivi sulla nostra salute mentale e fisica.
Le ricerche neuroscientifiche hanno infatti dimostrato che la compassione rafforza le parti del cervello che ci rendono più felici, più resilienti e più in sintonia con gli altri.
A questo punto, potremmo chiederci che differenza c'è tra la Compassione di sé e l'Autostima.
L'autostima consiste nel valutare se stessi come buoni o migliori degli altri. Al contrario, la compassione implica l'essere gentili con noi stessi senza preoccuparci di chi è meglio o peggio.
In questo caso il nostro valore non deriva dal modo in cui ci confrontiamo con gli altri: siamo degni di compassione semplicemente perché siamo umani.
Utilizzare la compassione per trasformare la sofferenza
La compassione ha il potere di guarire e trasformare la nostra sofferenza.
Che provenga da noi stessi o da un'altro, ciò che conta è che la sofferenza sia accolta con accettazione aperta e incondizionata.
Come possiamo dirigere la compassione alla fonte della nostra sofferenza?
Il primo passo è relazionarci con noi stessi con accettazione.
Se ti senti in difficoltà (es. frustrato o ansioso) è importante dare a te stesso la possibilità di sentire esattamente ciò che senti.
Se ti senti nervoso potresti dire "mi sento nervoso in questo momento e va bene così". Non hai bisogno di scacciare questa sensazione, puoi provarla.
Ma la compassione non si ferma qui: non è semplicemente il riconoscimento e l'accettazione della sofferenza, ma anche il rispondere ad essa con cura e gentilezza.
Il passo successivo è quindi quello di relazionarti con la parte di te che si sente nervosa con tenerezza e comprensione.
Potresti dire a te stesso: "Va bene sentirti nervoso in questo momento. C'è qualcosa che potrei fare per farti sentire un po' più sicuro o tranquillo?".
Fermarti ed ascoltare.
In terapia questo processo viene spesso effettuato verso le parti di noi stessi più vulnerabili e che portano con sé le emozioni più difficili.
L'importanza di lavorare con la nostra parte critica
La vera compassione verso noi stessi si manifesta quando riusciamo ad accettare, comprendere ed ascoltare qualunque parte di noi, incluse quelle che possiamo definire "disfunzionali" o "patologiche".
Piuttosto che odiare la mia tristezza, la mia parte critica o la mia ansia, posso imparare a prendermene cura come farebbe un buon genitore con un bambino che soffre.
Nella mia esperienza terapeutica ho notato che quella parte di noi "giudicante" o "critica" risponde molto meglio alla compassione, piuttosto che all'odio o all'evitamento.
Se urlo a me stesso "No non sei un idiota, non dirlo!" sto cercando di rispondere a questa parte di me con rabbia. Se cerco di distrarmi con cibo, uscite, TV o alcool la sto evitando a tutti i costi. Ed è comprensibile reagire così.
D'altra parte se potessi prendere un respiro profondo, cercando di non reagire d'impulso, comunicando e ascoltando questa parte di me con attenzione (es. "noto che il tuo modo di criticarmi aspramente è per farmi evitare figuracce") potrei notare che ha paura e soffre.
Conclusione
Un atteggiamento compassionevole da parte del terapeuta può aiutare i clienti a diventare osservatori non giudicanti dei loro pensieri, sentimenti, emozioni e comportamenti.
Non credo infatti che l'esperienza emotiva correttiva sia limitata alla riparazione dei danni creati durante l'infanzia.
Credo piuttosto che, attraverso la possibilità di vivere la sofferenza in presenza di un terapeuta compassionevole, i clienti possano imparare a provare compassione per loro stessi così da poter creare distanza, osservare, accettare e quindi integrare parti di sé che hanno sempre evitato o vissuto come vergognose e inaccettabili.