La Cina si appropria del Tibet e delle nostre lonely planet
Estero Lombardia

La Cina si appropria del Tibet e delle nostre lonely planet

venerdì 24 agosto, 2012

Il Tibet, ormai, è un paese in via d'estinzione.
Sia nella capitale, Lhasa, che nei più sperduti paesi di montagna, imperversano ronde di poliziotti cinesi e i turisti, così come i residenti, sono controllati a vista. Il centro storico di Lhasa (i quartieri di Barkhor e Jokhang) così come le zone periferiche sono a dir poco sotto assedio: dai vialoni moderni inneggianti a Mao e al socialismo, ai posti di blocco a dir poco pervasivi, si ha l'impressione di essere ospiti poco graditi. Ma sono i monasteri il cuore pulsante di quella che può a buon diritto definirsi una vera “questione tibetana”: da Samye a Tashilumpo, da Ganden a Shigatse a Sakya, i controlli dei cinesi sono ingombranti, espliciti, fastidiosi.

L'occhio del regime è dappertutto: i monaci buddisti sono guardati a vista e i turisti non sono liberi di scattare le foto ai luoghi di culto: viene infatti applicata ai visitatori una tassa che va dai 20 ai 100 yuan – dai 2 ai 10 euro circa – per poter immortale sulla pellicola le stanze dei monasteri e i pù banali oggetti rituali. Il motivo? Le pesanti tasse imposte dal regime con il pretesto di ristrutturare i luoghi di culto e mantenerli in vita. La verità è che il governo sta sistematicamente sradicando la cultura tibetana, favorendo l'esodo dei giovani in Cina con l'esplicito intento di fare adottare alle nuove generazioni lo stile di vita comunista.

Molti sono i casi di giovani tibetani, infatti, che vengono mandati dai genitori a studiare nelle capitali cinesi, dove vengono loro impartite la lingua e la storia locale senza alcun riguardo per la cultura tibetana.
E' il caso, ad esempio, dei figli del nostro accompagnatore tibetano, che per cercare di salvaguardare la loro identità intrattiene con loro un fitto carteggio in tibetano facendo loro praticare la lingua di origine e sottoponendoli, via posta, a esercizi linguistici per non dimenticare l'idioma nativo. Non può comunicare con i figli via posta elettronica perché tutti i server sono controllati dal governo, così come i motori di ricerca e le piattaforme di condivisione dei video come YouTube. L’occhio della Cina è dappertutto. Bisogna essere prudenti.

Ce ne accorgiamo appena arrivati all’aereoporto di Lhasa, quando chi di noi è in possesso dell’ultima versione della Lonely Planet Tibet si vede sottrarre il volume, ritenuto sconveniente per i suoi riferimenti all’esilio del quattordicesimo Dalai Lama (dal 1959 residente in India, a Dharamsala) e per tanto messo all’indice dal governo. Restiamo senza parole: senza la guida non saremo in grado di comprendere alcuni importanti aspetti culturali del paese che ci accingiamo a visitare; inoltre l’ambasciata cinese in Italia non ci ha informati di questa sgradevole eventualità. Siamo vittime della situazione ma ogni recriminazione è vana: in risposta alle nostre lamentele troviamo solo un muro compatto di sguardi caparbi e atteggiamenti ostili. Le Lonely Planet ci vengono sequestrate e associate ai nostri numeri di passaporto in modo da segnalarci facilmente nel caso di un eventuale ritorno in Tibet. Non riusciamo ad ottenere neanche che ci vengano rispedite in Italia, al rientro: le bruceranno, senza lasciarne traccia, in ottemperanza alle leggi del regime.

Il nostro viaggio è appena cominciato, ma sorge spontanea una domanda: che cosa ne sarà del Tibet, alla morte del Dalai Lama?
Come molti sapranno, l’attuale Dalai Lama, Tenzin Gyatso, ha rinunciato ai suoi poteri politici e ha dichiarato che il suo successore, il quindicesimo Dalai Lama, non si reincarnerà nel Tibet occupato dai Cinesi, e forse rinuncerà per sempre alla sua carica, ponendo fine alla teocrazia lamaista tibetana. Malgrado la figura del Dalai Lama sia secolare e rappresenti un caposaldo per tutta la cultura tibetana, la Cina ha deciso infatti di nominare in futuro le nuove reincarnazioni di questa fondamentale carica religiosa, prerogativa che per tradizione è sempre spettata ai lama tibetani.

Il primo passo in tal senso risale al 1995, quando il governo cinese fece sparire la reincarnazione del decimo Panchen Lama, Gedhun Choekyi, figura religiosa e politica sottoposta a quella del Dalai Lama e ad essa legata da un forte vincolo nella ricerca delle reciproche reincarnazioni. Dal 1995 non si hanno più notizie di lui – che ai tempi aveva solo 6 anni - nè della sua famiglia. Nel settembre 2007, la Cina ha affermato che tutti gli alti monaci tibetani dovranno essere scelti dal suo governo e che, in futuro, questi dovranno eleggere il quindicesimo Dalai Lama sotto la supervisione del Panchen Lama cinese.

Si tratta di una situazione complessa, che difficilmente può trovare una soluzione immediata, né tanto meno una semplice spiegazione in un articolo.
Vi basti sapere che il popolo tibetano, pacifico e straordinariamente tollerante, sta combattendo una battaglia silenziosa (se si escludono i non pochi casi recenti di autocombustione da parte dei monaci in segno di protesta contro i soprusi del governo) in suolo natio. E vi basti pensare che, nonostante le tensioni e le fosche previsioni per il futuro, dal suo esilio in India il Dalai Lama continua a regalare al suo popolo e a tutto il resto del mondo frasi piene di speranza e ottimismo, come questa:
“Non c'è oppressione che possa, alla lunga, vincere sul diritto e la giustizia”.
Che il suo atteggiamento possa essere d'esempio per tutti. [MORE].


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