Economia
La bozza della legge di bilancio non contiene, però, il rinnovo della cedolare secca per i negozi
CATANZARO 3 NOVEMBRE - L’accordo dei giorni scorsi, in sede di vertice di Governo sulla manovra, che ha scongiurato il paventato aumento dal 10 per cento al 12,5 per cento per la cedolare secca per gli affitti abitativi calmierati rappresenta un segnale, fortemente richiesto dalla Confedilizia a tutti i livelli, nella direzione di una maggiore attenzione verso il settore immobiliare, che soprattutto a partire dalla manovra Monti del 2011 vive una situazione di profonda crisi.
Pertanto, nelle intenzioni del Governo, la cedolare secca al 10 cento non solo non subirà alcun aumento, quanto sarà stabilizzata e resa – finalmente - definitiva, come del resto pure sempre richiesto la medesima Confedilizia. Si tratta, come più volte evidenziato, di una misura decisa del Governo a guida PD (premier Renzi) nel 2014, confermata poi dal Governo sempre a guida PD (premier Gentiloni), nel 2017.
Essa, all’epoca della sua introduzione, è stata salutata dalle forze di Governo come: «Un incentivo importante per i proprietari ad affittare a canoni accessibili per le famiglie che oggi non trovano opportunità abitative sostenibili e può contribuire a rispondere all'emergenza abitativa e a rimettere sul mercato degli affitti alloggi oggi vuoti» (Franco Mirabelli, PD, relatore di maggioranza in occasione della discussione del disegno di legge di conversione del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, recante misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015); da quelle di opposizione, come «una riforma parziale, perché interessa solo gli immobili a canone concordato. Se si fosse estesa anche ai contratti a canone libero, ci sarebbe stata una ulteriore rivoluzione in positivo. La norma sulla cedolare secca, fortemente contrastata all'inizio da parte della sinistra, ha dimostrato negli anni, al contrario, l'emersione del sommerso ed ha determinato la crescita del gettito fiscale del settore». (Vincenzo Gibiino, PDL).
Nel periodo (ben sei anni) di applicazione, detta misura ha confermato le aspettative, tant’è che ha rappresentato, e ancora oggi, rappresenta una misura sociale, ampiamente condivisa, la quale ha garantito un’offerta abitativa estesa a vasti strati della popolazione, soprattutto alle persone più bisognose, e favorito la mobilità di lavoratori e studenti sul territorio. La stessa ha inoltre determinato quell’auspicata riduzione dell’evasione fiscale nelle locazioni, come è stato poi confermato dal “Rapporto sui risultati conseguiti in materia di misure di contrasto all’evasione fiscale e contributiva” allegato alla nota di aggiornamento del Def, che calcola il tax gap nei diversi tributi. In detto documento è riportato che per effetto dell’introduzione della cedolare secca, l’evasione tributaria negli affitti si è ridotta – dal 2012 al 2017 – del 50,45 per cento: il che conferma l’efficacia di un regime di tassazione che si contraddistingue per equità e semplicità. Se la decisione sulla cedolare secca rappresenta un segnale nella giusta direzione, non può dirsi la stessa cosa per le altre misure riguardanti l’immobiliare.
Nella bozza della legge di bilancio manca, innanzi tutto, il rinnovo della cedolare secca al 21 per cento per i negozi, che è stata introdotta dal 1° gennaio 2019. Era stata già considerata alla stregua di un timido intervento per cercare di risollevare le sorti di un settore gravemente penalizzato non solo dall’elevata tassazione ma anche da una legislazione estremamente dirigistica e penalizzante di oltre 40 anni fa. Ovviamente, il suo azzeramento, per effetto del previsto mancato rinnovo, non farà altro che peggiorare la situazione, e rendere ancor di più drammatica la già grave situazione in atto nel settore del commercio, in particolare di vicinato, con la sempre più frequente chiusura di esercizi e le pesanti conseguenze, che vanno dall’abbandono di unità immobiliari al decremento delle attività lavorative. Per non parlare del fenomeno, più volte denunciato da Confedilizia, della desertificazione dei centri storici, a causa della crisi del commercio, al quale va aggiunta la grande svalutazione degli immobili commerciali, come è stata registrata negli ultimi anni da molti osservatori sull’immobiliare, svalutazione che nel caso degli uffici ha toccato addirittura picchi del -3,4% e che in tanti imputano anche alla importante tassazione a cui è sottoposto il mercato immobiliare.
Oltre che con la cedolare secca, da confermare e, pure da ridurre, nel settore degli affitti ad uso diverso è pure necessario intervenire con la liberalizzazione degli affitti, eliminando normative e tipologie contrattuali dirigistiche di fine anni ’70. Ciò renderebbe senz’altro più interessante per i proprietari privati l’affitto ad uso diverso ai privati e alle aziende e, con ogni probabilità, ridurrebbe la grande quantità di immobili commerciali oggi sfitti; la conseguenza naturale sarebbe, di sicuro, l’aumento del numero di locazioni gestite sul mercato e la riduzione delle tempistiche medie delle trattative: in sostanza uno stimolo al commercio e un rifiorire dei negozi di vicinato.
Nella medesima bozza della legge di bilancio è anche previsto un accorpamento peggiorativo di Imu-Tasi. Infatti, non solo non vengono eliminate iniquità, come la tassazione sugli immobili inagibili/inabitabili, su quelli sfitti per assenza di inquilini o acquirenti e su quelli impropriamente considerati di lusso, ma è addirittura previsto che l’aliquota base della nuova tassa passi dal 7,5 all'8,6 per mille. Per alcuni Comuni (come Roma e Milano), e con evidenti dubbi di legittimità, l’aumento è all’11,4 per mille (rispetto al limite del 10,6 per mille) dell’aliquota massima applicabile. È poi fatto scomparire qualsiasi collegamento ai servizi, presente ora nella Tasi (che serve o dovrebbe servire a finanziare i servizi “indivisibili” come ad esempio l'illuminazione pubblica o il lavaggio strade), e aumenta la tassazione a carico dei proprietari di immobili affittati, sui quali è scaricata la quota di imposta che nella Tasi era a carico degli inquilini.
Come più volte sottolineato, detta tassazione ha rappresentato e continua a rappresentare un onere non più sostenibile e, soprattutto, una tassazione puramente patrimoniale, che non tiene nel minimo conto la qualità e la quantità dei servizi offerti ai cittadini. Occorre riformare radicalmente il sistema, sostituendo Imu-Tasi e Tari con un tributo ridotto, effettivamente legato ai servizi e deducibile dal reddito di persone fisiche e imprese.
avv. Sandro Scoppa, presidente Confedilizia Calabria