Cultura e Spettacolo
La banalità del bene: storia di Giorgio Perlasca
In questi giorni si è celebrata la giornata della memoria. Nonostante gli anni passati, lo sterminio di ebrei e zingari, da parte dei nazisti, è ancora una cicatrice visibile e dolorosa. In quegli anni l’uomo ha toccato l’abisso dell’inumanità e della malvagità. Molti sono le testimonianze raccolte, ma oggi vorrei portare l’attenzione su una in particolare: la straordinaria vicenda di Giorgio Perlasca.
L’italiano commerciante di carni si trovava in Ungheria per lavoro quando, nell'inverno del 1944, spacciandosi per il console spagnolo riuscì a salvare migliaia di ebrei.
Questa storia vera è stata magistralmente raccontata da Enrico Deaglio in un piccolo volume edito dalla Feltrinelli, avente il titolo “La banalità del bene”.
Fonti che hanno permesso la stesura della storia sono i vari ebrei salvati dal padovano e Perlasca stesso con il suo diario. Dalle loro voci emerge la descrizione di una Budapest multiculturale che non riuscì mai a comprendere totalmente le leggi razziali e l'uccisione di chi sorreggeva la loro economia. Ungheria che, tra il 1941 ed il 1945, vide lo sterminio di 565.000 ebrei sui 825.000 che la popolavano.
Perché leggere questo libro? Perché pur essendo ricco di riferimenti storici è coinvolgente come un romanzo. Credo che molti di noi debbano ricordare non solo le vicende negative di un periodo caratterizzato dall'odio, ma anche recuperare quelle figure positive che ci rimandano alla natura buona dell'uomo. Figure di uomini solidali, generosi e temerari nell'aiutare chi viene considerato parassita del mondo.
Perlasca poteva fuggire, ma decise di rimanere rischiando la sua vita per poterne salvare altre...
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“Vedevo le persone che venivano uccise e, semplicemente, non potevo sopportarlo. Ho avuto la possibilità di fare, e ho fatto. Tutti, al mio posto, si sarebbero comportati come me (…) Si dice in Italia: l'occasione fa l'uomo ladro, di me ha fatto un'altra cosa.”
Dando la prova che anche nella più impenetrabile nebbia, esiste - perché è propria dell'animo umano - una tentazione irriducibile, indicibile, fiabesca, alla “banalità del bene”.