Cronaca

L'orribile e impunito delitto di Roberta Lanzino

COSENZA, 25 NOVEMBRE 2012- Tutti coloro che hanno conosciuto Roberta Lanzino la descrivono come una ragazza gentile e solare, a cui era impossibile non affezionarsi. Una brava studentessa al primo anno della facoltà di Economia e Commercio dell’Università della Calabria, impegnata politicamente e speaker di una radio locale. Una giovane come tante che condivideva sogni e timori della generazione dei suoi coetanei.

Una ragazza carina, acqua e sapone, che si affacciava alla vita con tante speranze. Roberta aveva diciannove anni e viveva a Cosenza con la sua famiglia a cui era profondamente legata. Era l’estate del 1988 la città iniziava a svuotarsi e, come ogni anno, le località balneari e montane venivano prese d’assalto per le vacanze o, semplicemente, per un po’ di svago. La famiglia Lanzino, naturalmente, non si discostava da quest’andazzo e il 26 luglio 1988 decise di andare nella loro casa di villeggiatura al mare, sita in Contrada Miccisi a San Lucido (Cs). Come concordato, Roberta si sarebbe avviata con il motorino seguita dall’auto dei genitori. La ragazza non attese di partire con i genitori consapevole che l’auto del padre l’avrebbe raggiunta facilmente e in breve tempo. La strada imboccata dalla giovane non fu la SS 107, poco sicura per un motorino, ma la “strada vecchia” che porta al mare.

I genitori, dopo aver caricato la macchina di provviste e di un tavolino, lasciarono Cosenza dirigendosi verso il mare con l’intento di riunirisi a Roberta già in viaggio sulla strada. I signori Lanzino si fermarono dapprima da un fruttivendolo sul tragitto e poi presso una fontana pubblica per riempire dei bidoni d’acqua. Tappe che fecero perdere poco tempo ma che sommate si materializzarono in importanti minuti di ritardo nel raggiungere Roberta. I genitori iniziarono a preoccuparsi. Sulla strada non vi era traccia della figlia. Ipotizzarono che probabilmente fosse già arrivata nella casa di Miccisi. Giunti sul luogo però si resero conto che la ragazza non era lì. Il padre iniziò una disperata ricerca, ritornando a Cosenza e controllando la strada che avrebbe dovuto percorrere la giovane studentessa. La madre, la Signora Matilde, temette un incidente stradale. Vennero allertati gli ospedali per verificare eventuali ricoveri ma senza esito. Le ricerche continuarono per tutta la serata e la notte. Il padre di Roberta, i carabinieri e gli abitanti setacciarono l’intera zona. La “strada vecchia”, tortuosa e selvaggia, sembrava aver inghiottito la studentessa.

Poi dopo la mezzanotte sulle montagne di Falconara Albanese (Cs) venne ritrovato il motorino che non apparve incidentato e non risultò in panne. Ma dov’era Roberta? Il mistero fu svelato a settanta metri di distanza. Il corpo seminudo di Roberta Lanzino fu rinvenuto senza vita fra gli sterpi. I suoi effetti personali sparpagliati sul terreno. La ragazza, brutalmente stuprata, presentava varie escoriazioni ed ecchimosi e delle ferite da taglio alla gola e alla testa ma morì per soffocamento, causato delle spalline della maglietta infilatele in gola dai suoi aguzzini. Infatti gli investigatori ritennero che l’aggressione fu compiuta da più persone. In sede autoptica fu rilevata una distorsione al piede, forse in seguito ad un disperato tentativo di fuga della vittima.

Un orrore perpetrato da bestie accanitesi senza pietà sulla povera ragazza. L’atroce delitto sconvolse la famiglia Lanzino e lasciò attonita l’opinione pubblica. Roberta, probabilmente, aveva sbagliato strada pur avendo percorso in passato il tragitto che da Cosenza porta al mare. Secondo le ricostruzioni più attendibili la diciannovenne fu bloccata e forse stordita dai suoi assalitori, e poi condotta fuori strada dove venne violentata e barbaramente uccisa. Alcuni testimoni riferirono che la ragazza in motorino aveva smarrito la strada e chiese loro delle informazioni per Torremezzo di Falconara Albanese (Cs), località non lontana da contrada Miccisi. Gli stessi testimoni videro una misteriosa Fiat 131 seguire il motorino della studentessa. Le indagini si concentrarono su un giovane pregiudicato di San Lucido (Cs), in possesso di una Fiat 131 e non dotato di un alibi convincente. Tuttavia la pista si rivelò errata e fu ben presto scartata dagli investigatori.

Successivamente irruppero sulla scena i fratelli Rosario e Luigi Frangella e il loro cugino Giuseppe Frangella. Gli atteggiamenti e le dichiarazioni dei tre contadini, residenti nella zona del delitto, non convinsero gli inquirenti. Il principale indiziato fu Rosario, affetto da disturbi psichici, sul quale vennero trovate delle macchie di sangue sui pantaloni. Sul luogo del misfatto venne ritrovato un fazzoletto da uomo azzurrino sporco, uno identico salterà fuori durante una perquisizione a casa di Giuseppe Frangella. L’uomo presentava delle escoriazioni sulle braccia riconducibili a dei graffi che sostenne di essersi procurato durante il ritrovamento del motorino di Roberta. Nessuno però ricordò la presenza di Giuseppe Frangella in quel frangente. Il Signor Franco Lanzino recatosi presso l’abitazione di Frangella per chiedere se avesse visto la figlia fu colpito dall’ambiguo comportamento dell’uomo che suggerì di cercare altrove. Luigi Frangella, invece, dichiarò di aver dato delle informazioni stradali a Roberta mentre stava lavorando nei campi e di aver visto il cugino Giuseppe transitare con il suo furgone subito dopo il passaggio della studentessa. Lo stesso Giuseppe Frangella affermò di aver notato entrambi i suoi cugini correre in forte stato d’agitazione nel tardo pomeriggio di quel maledetto 26 luglio. I tre agricoltori furono accusati della violenza carnale e dell’uccisione di Roberta. Seguirono concitate fasi giudiziarie con i tre imputati che si proclamarono estranei alle accuse. Luigi, Rosario e Giuseppe Frangella saranno giudicati non colpevoli nei tre gradi di giudizio.

Le indagini scientifiche dell’epoca furono gravemente lacunose, tardive e infruttuose e non permisero di individuare gli assassini. Il caso è stato riaperto nel 2007, quando il pm Domenico Fiordalisi, su indicazione dell’ex boss della ‘ndrangheta cosentina Franco Pino, procedette nei confronti di Francesco Sansone già detenuto nel carcere di Turi a Bari a scontare una pena di 30 anni di reclusione per duplice omicidio. L’altro accusato del terribile assassinio è Luigi Carbone, scomparso nel 1989. Il processo ha subìto una serie di ritardi e ancora non si riesce a intravedere una sua conclusione. Ventiquattro lunghi anni senza colpevoli per un crimine orrendo.

L’infame delitto colpì per la sua efferatezza tutta la nazione. Alla memoria di Roberta sono state intitolate strade e piazze in alcune città d’Italia. Dopo la tragica morte della studentessa, per volontà dei genitori, sono sorte sul territorio il “Centro contro la violenza alle donne - Roberta Lanzino” e la “Fondazione Roberta Lanzino” che si occupano di combattere la violenza sulle donne e sui minori e l’omertà che troppo spesso le accompagna. [MORE]

Davide Scaglione