Cronaca
L'informazione alla base della democrazia. Intervista a Marika Demaria
AOSTA, 24 DICEMBRE 2012 – Marika Demaria è una giornalista molto impegnata. Ha collaborato con varie testate valdostane occupandosi di cronaca bianca, cultura spettacoli e società. Dal giugno 2010 lavora per il mensile "Narcomafie" edito dal Gruppo Abele e fondato da don Luigi Ciotti. Si occupa soprattutto delle mafie italiane, delle iniziative di antimafia (specie quelle legate a Libera) e ha seguito tutte le udienze del processo Lea Garofalo, con la cronaca sia per il sito della rivista sia per Libera Informazione approfondendo l'argomento sulle pagine del mensile.[MORE]
Quando e come hai deciso di intraprendere la carriera giornalistica?
Oserei rispondere: da sempre. Ho sempre amato scrivere, raccontare, utilizzare carta e penna come veicolo per emozioni, sentimenti, cronaca di avvenimenti. Questo fin da bambina, tanto che alla classica domanda: “Cosa vuoi fare da grande?” rispondevo sempre: “La giornalista”.
Cosa vuol dire oggi, secondo te, fare il giornalista?
Quando penso al mestiere di giornalista mi tornano alla mente le parole di Giuseppe Fava, il suo concetto etico di giornalismo. Ecco, io sono fermamente convinta che mettendo in pratica quegli insegnamenti si possa parlare di un giornalismo con la “G” maiuscola, non asservito al potere. Il mondo del giornalismo è però sempre più vittima del precariato e dello sfruttamento: giovani molto bravi e volenterosi che, quando pagati, percepiscono tre, cinque euro a pezzo, ovviamente senza rimborso spese. Per non parlare delle mancate tutele legali in caso di querela o diffamazione, veri e propri deterrenti: come si può immaginare che un giovane da solo possa affrontare, per esempio, un contenzioso legale con la paura di dover, in caso di perdita della causa, pagare cifre astronomiche di risarcimento?
Quando e perché nasce l’interesse per la mafia?
La prima persona che devo ringraziare è senz'altro mia mamma. Siciliana di Pachino, in provincia di Siracusa, quando subito dopo sposata si è trasferita ad Aosta dove già viveva mio padre, si è scontrata da subito con gli stereotipi di “coppola e lupara”. Mi ha insegnato ad amare la Sicilia, dove vivono persone oneste e meravigliose, che ha pagato un tributo di sangue altissimo e che ha molta voglia di riscatto che noi tutti dovremmo mutuare. I Corleonesi non sono solo Riina e Provenzano, ma Bernardino Verro e Placido Rizzotto. Il primo libro – inerente all'argomento – che lessi fu “Delitto imperfetto” di Nando dalla Chiesa: mia mamma mi aveva raccontato la storia del Generale “con gli alamari cuciti sulla pelle” e da lì iniziai ad appassionarmi sempre di più a queste tematiche. Avevo 13 anni e mezzo quando furono compiute le stragi di Capaci e via D'Amelio, ricordo quei momenti come fosse ora. Quelle immagini, le pagine che avevo letto, quelle persone che avevo capito di amare e alle quali sentivo di essere grata per i loro insegnamenti mi sono entrate nella pelle, nel cuore. Poi, in qualche modo il destino ha fatto il suo corso. Quando mi sono laureata in Scienze della Comunicazione ho presentato una tesi dal titolo “Mass media e memoria: gli attentati di dalla Chiesa, Falcone e Borsellino” mettendo in relazione come i vari medium abbiano dato la notizia delle stragi prima e degli anniversari poi. Nella primavera 2008, nel corso di una serata pubblica, don Luigi Ciotti fu ospitato in un comune alle porte di Aosta – Pollein – dove dichiarò che Libera sarebbe dovuta nascere anche in Valle d'Aosta. Partecipai praticamente fin da subito alle riunioni del comitato promotore e il 20 novembre 2008 nacque Libera Valle d'Aosta, di cui sono la referente regionale. A tenerci a battesimo fu proprio Nando dalla Chiesa, in qualità di presidente onorario di Libera.
Hai collaborato con diverse testate locali valdostane occupandoti di cronaca bianca, cultura, spettacoli e società. Dal giugno 2010 lavori per Narcomafie. Per quali motivi hai deciso di scrivere per questo mensile?
Quando scrivevo per le testate locali in Valle d'Aosta pativo il fatto di non poter trattare le tematiche che tanto mi appassionavano. Anzi, alcune volte mi scontravo con chi cercava, a suo dire, di riportarmi alla realtà spiegandomi che non ci trovavamo in Sicilia e che quindi certi argomenti erano avulsi dalla realtà locale. Purtroppo è una mentalità che ancora oggi è presente, molti erroneamente pensano che le mafie siano un problema lontano, appartenente solo alle regioni meridionali. Ho sempre stimato e apprezzato il lavoro portato avanti dalla redazione di Narcomafie, ma per me anche una semplice collaborazione rappresentava una chimera. Poi, il 30 marzo 2010 don Luigi Ciotti tornò ad Aosta e in un attimo diede una svolta alla mia vita: mi disse che aveva bisogno di me a Narcomafie. Io all'epoca avevo la laurea in tasca, una collaborazione con il quotidiano «La Stampa» nella redazione di Aosta e un contratto come cassiera all'interno di un supermercato. Ne parlammo a lungo a tavolino lui ed io, conobbi meglio l'équipe e decisi. Nel giugno 2010 mi sono trasferita a Torino, pur mantenendo la mia carica all'interno di Libera.
Quale definizione daresti per definire al meglio la criminalità organizzata?
La criminalità organizzata, le mafie, sono agite da persone che per il potere e per il denaro sono capaci di qualsiasi cosa. Anelano rispetto, onore, la devozione della gente. Ma non è solo questo. Oggi per colpire al cuore le mafie bisogna scardinare la zona grigia fatta di professionisti di ogni categoria che prestano il fianco ai mafiosi per interesse, per il proprio tornaconto, perché non si domandano la finalità della richiesta che viene loro fatta da parte di un mafioso, agiscono e basta.
Com’è possibile non cadere in quel sistema di favori?
Bisogna essere formati e informati, essere attenti a ciò che accade sul proprio territorio, essere delle vere e proprie “antenne”. Ognuno ha una quota di responsabilità, bisogna iniziare a scardinare la cultura della mafiosizzazione che fa prevalere gli arroganti, i furbetti. E bisogna, quando ci si trova di fronte a delle illegalità, denunciarle.
Hai seguito tutte le udienze del processo su Lea Garofalo. Chi è lei per te?
Una grande donna, un esempio di forte coraggio, una mamma che, per regalare alla propria figlia un futuro diverso, migliore, non ha esitato ad andare incontro a un orribile destino. Lea Garofalo e Denise Cosco sono due emblemi della lotta alla mafia praticata dall'interno, del coraggio della denuncia. Sono due simboli dell'antimafia.
Qualche settimana fa è giunta la notizia del ritrovamento del corpo dell’ex testimone di giustizia nella Brianza, l'esame del Dna ci ha dato la conferma.
La notizia non toglie nulla all'efferatezza, alla brutalità, alla bestialità dell'omicidio e della distruzione del cadavere commessi da Carlo Cosco, Giuseppe Cosco, Vito Cosco, Massimo Sabatino, Rosario Curcio e Carmine Venturino. Dato che i resti sono di Lea Garofalo, la coraggiosa testimone di giustizia può avere un funerale e una degna sepoltura. E sua figlia Denise, un luogo su cui deporre un fiore per la propria mamma.
Perché la ‘ndrangheta è l’organizzazione più potente?
La 'ndrangheta è un'organizzazione molto pervasiva, che si è radicata al Nord approfittando dei riflettori puntati sulla Sicilia, devastata dalle violenze di Cosa nostra. Attualmente è la mafia più ricca, la cosiddetta “mafia liquida”, con affiliati che ricoprono ruoli strategici nei vari tessuti sociale, economico, politico dell'Italia e non solo. La 'ndrangheta ha infatti valicato i confini nazionali, basti pensare alla strage di Duisburg in Germania e agli accordi stretti con i cartelli colombiani per il traffico di stupefacenti.
Siamo vicini alle elezioni politiche. L’Italia è un Paese in movimento. Ma nessuno parla di mafia. Perché?
Evidentemente – duole constatarlo ma è un'amara verità – le forze politiche non ritengono la lotta alle mafie una priorità. Mi chiedo però come si possa pensare di governare un Paese se non si ha la consapevolezza della presenza sempre più invasiva di questo fenomeno che mina la democrazia e nega ai cittadini onesti i propri diritti.
Giulia Farneti