Estero
L'identità del Medio Oriente e i legami storici con l'Europa: il fallimento della centralità statale
ALEPPO (SIRIA), 15 MARZO 2015 – Al quarto anniversario della rivoluzione e/o guerra civile in Siria, nonostante centinaia di migliaia di morti e la totale distruzione del paese, il conflitto rimane ben lontano da una definitiva soluzione. Come è stato sottolineato da molti, questa guerra coinvolge le innumerevoli dinamiche complesse di natura politica presenti nell'area e persino oltre, concentrando il tutto in un unico, tragico luogo. Oggi quel conflitto espone una regione in continuo divenire, molto di più di quanto abbiano fatto i conflitti – in Iraq e in Libano – che lo hanno preceduto. In tutto il Medio Oriente, le strutture politiche ereditate agli inizi del XX secolo sono state scosse dalle radici.
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Con l'ascesa transnazionale dello Stato Islamico, in molti si sono domandati sulle sorti degli accordi Sykes-Picot, il trattato franco-inglese – e in origine russo – del 1916 che decretava le zone di influenza delle potenze europee, oltre a tracciare i confini degli stati del Medio Oriente. Gli accordi Sykes-Picot furono un prodotto europeo, e stabilivano la frammentazione voluta delle potenze coloniali, più volte criticati per la loro superficialità nel prendere in considerazione non pochi aspetti, specie dal punto di vista etnico. Sono tali accordi ad aver generato stati misti come il Libano, la Siria e l'Iraq, la cui possibilità di sopravvivenza è oggi messa in discussione. La frammentazione è così intensa che oggi persino i detrattori dei trattati si avvinghiano a tali geografie maccheroniche come ultima possibilità di difesa al caos regionale.
Dinamiche regionali
La realtà della regione potrebbe risultare piuttosto complessa: ci sono almeno tre dinamiche regionali che andrebbero prese in considerazione, prima di lasciare piena attuazione alle decisioni di Sykes e Picot. La prima arriva dall'incrocio tra gli stati centralizzati in stile europeo e le dinamiche politiche regionali. I partiti politici e i gruppi settari nel Medio Oriente sono stati disegnati per il potere centralizzato così come lo sarebbero le api per un alveare. Il risultato è stato il “saccheggio” di un gruppo ai danni di un altro, il quale attendeva il suo turno per servire la propria vendetta.
Oggi, in Iraq e in Libano, gli sciiti ritengono che è giunto il loro momento di controllare i territori, dopo decadi in cui sono stati ignorati da sunniti e maroniti. È ciò che accade anche in Siria, dove il clan di Assad si ostina ad andare avante, con inevitabili contraccolpi. Tutto il bramato potere, seppur minimo, e semmai se ne presentasse uno reale, era impiegato nell'alternanza con gli altri poteri una volta preso in possesso.
La seconda dinamica sottolinea tale processo: prima che i confini tracciati dal Sykes-Picot venissero presi in considerazione, il Medio Oriente non rappresentava altro che una enorme regione interconnessa. E ciò avveniva sotto la guida di un unico potere, dove pendeva la spada di Damocle su tutti i gruppi minoritari. Ma tutti i mediorientali conoscono la natura della loro connettività; le loro famiglie potrebbero essere facilmente ascritte ad un unico albero genealogico che va dal Cairo ad Aleppo, fino ad Amman.
Oggi i sentimenti nazionalisti abbondano, ma non mancano le connessioni regionali, spesso interconnesse da questioni linguistiche e culturali. Tutta l'area custodisce un patrimonio pressoché comune legato soprattutto alla letteratura, la tradizione popolare o la fede religiosa, ma questa preziosissima eredità è stata più volte messa in discussione dalle avide forze delle evoluzioni politiche. La nascita di Israele, inoltre, ha generato una emorragia di tale flusso storico verso l'area mediorientale. D'improvviso, città come Gerusalemme e Giaffa sono state tagliate fuori dal mondo arabo. I centri di gravità sono cambiati, città come Beirut sono cresciute in importanza, dopo il declino di Haifa nel 1948, e persino le tratte commerciali e i gasdotti hanno invertito le loro rotte.
Nel frattempo, anche la crescita esponenziale di stati sicuri e centralizzati nel mondo arabo ha creato un danno uguale se non superiore ai flussi commerciali. I confini sono controllati da burocrazie inefficienti da coloro che temono la propria stabilità, così da rallentare tutte le possibili connessioni naturali. In un Medio Oriente diverso, tutti sognerebbero di guidare piacevolmente da Aleppo a Gerusalemme in un fine settimana.
Il crollo di Sykes-Picot
Terzo aspetto è legato alla volontà di coloro che ambirebbero a riunire la regione, ed eliminare dunque i trattati di Sykes-Picot; volontà però troppo intrisa dall'ideologia, che parta dai nazionalisti panarabi, i baatisti, i fratelli musulmani o dal cosiddetto Califfato. Nel tempo ci sono stati numerosi tentativi di immaginare un'unica regione, un unico Mondo Arabo unito, o una Umma, ma troppe volte i fautori dell'unificazione si sono serviti di metodi feroci come l'esclusione, l'oppressione o la violenza. Le ideologie generano nemici naturalmente, e nella maggior parte dei casi non riescono a trasformare le loro nobili ambizioni in realtà funzionali. I loro piani sono stati anche ostacolati da Israele, l'Occidente, i Curdi o altri partiti ed etnie che semplicemente differiscono o non si fidano delle loro visioni d'insieme.
Anche quando hanno avuto modo di essere messi in pratica, tali approcci fallivano nel loro imperante dogmatismo, mancanza di fattualità nel fronteggiare la sfida che si proponevano, così come le difficoltà ad andare oltre un certo tipo di intolleranza ideologica. Applicare una singola ideologia in un territorio tanto variegato ed esuberante è complesso come far pascolare i gatti: si rimane particolarmente sospettosi degli approcci 'top-down' o delle formule preconfezionate sventolate dalle 'mode' del momento. Il risultato è l'impossibilità di parlare a tutti allo stesso modo.
Ma nonostante il caos, la regione rimane interconnessa. Ciò che accade ad Aleppo non rimane ad Aleppo. La regione è paradossalmente già integrata, nonostante la catastrofe, e i riverberi di ciò che scuote oggi la Siria si sentono in maniera forte in Libano e in Iraq; l'assedio e le sofferenze di Gaza si riversano in Israele e in Egitto; e l'assenza di un Egitto forte influenza la geopolitica regionale, come avviene pure dall'egemonia dell'Iran; le immagini, infine, della TV satellitare araba, hanno la capacità di forgiare l'opinione pubblica da Rabat a Baghdad. La regione è dunque un organismo vivente dove ogni singola parte influenza tutte le altre.
Le tre realtà esposte non hanno, in ultima analisi, la capacità di guidare una regione 'sana'. E dunque, se l'ideologia è messa da parte, cos'è che unirebbe le varie popolazioni? Il carbone e l'acciaio hanno tenuto salda l'Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale: come parallelismo, l'acqua e l'energia potrebbero essere proposte per il Medio Oriente. La scarsità dell'acqua e l'iniqua distribuzione dell'energia nella regione risponde a tale logica. Il libero mercato, i nuovi assetti economici, le infrastrutture elettriche e persino le strutture per la sicurezza dell'area potrebbero essere avanzate come possibili opzioni. Ma finora la diffidenza ideologica e il fervore identitario hanno avuto la meglio sul pragmatismo. Nessuno riesce a pensarla in questi termini, in Medio Oriente.
Lo scenario europeo
Lo scenario europeo è invece volto a stabilire solidi stati-nazione, e ha subito ben due guerre mondiali prima di procedere all'integrazione; ma tale approccio non sembra essere possibile in Medio Oriente. Il problema probabilmente giace nel termine stesso “Europeo”; sembrerebbe che il Medio Oriente non è fatto per quello stile di stato-nazione, o per la medesima sequenza lineare: forti stati-nazione, competizione, guerra, sfinimento, e infine integrazione.
A causa di una storia relativamente ampia, il Medio Oriente potrebbe semplicemente essere un luogo sostanzialmente più organico, dove le identità locali risultano forti così come le possibili compagini nazionali o ideologiche. Ne potrebbe derivare un ovvio caos, come quello a cui assistiamo oggi, ma potrebbe anche funzionare come base naturale per un altro tipo di approccio, contrario a ciò a cui il Medio Oriente è stato sottoposto: la decentralizzazione. Le risposte potrebbero giacere in future strutture politiche che permettano alle realtà locali di co-esistere con quelle nazionali, nel mentre si persegue l'integrazione regionale. Sembrerebbe piuttosto evidente che Beirut ha bisogno di Gerusalemme, come Damasco di Baghdad. A primo impatto la mescolanza delle culture renderebbe l'area particolarmente ricca, ma il trattato di Sykes-Picot ha indiscriminatamente incrinato tale realtà.
In diversi modi, il Medio Oriente è a caccia di se stesso in un condiviso bisogno di integrazione, malgrado i continui disastri. Lo sforzo dovrebbe arrivare da migliori assetti politici della regione, altrimenti si correrebbe il rischio che, al di là del Sykes-Picot, il Medio Oriente continuerà a soffrire la mancanza di strutture e resterà una zona di conflitti. Se si continua a guidare le varie popolazioni in scenari politici selvaggi e poco organizzati, l'integrazione mediorientale non avrà alcuna direzione attuativa.
Foto / Fonte: aljazeera.com
Dino Buonaiuto