Euro compie 10 anni: la crisi rovina la festa di compleanno
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MILANO, 29 DICEMBRE 2011- Il primo gennaio 2012, l'euro compirà 10 anni. Infatti, era il primo gennaio 2002, quando l'Italia e gli altri paesi dell'Eurozona furono chiamati a dire addio alle loro storiche valute: bye, bye Lira, Franco francese, Marco tedesco, su cui la neonata moneta venne plasmata e ancorata alla Bce (questo fu il tributo che si dovette pagare per ottenere il sì da parte della forte Germania, locomotiva economica dell'Europa). [MORE]
Undici paesi accettarono di realizzare quello che da anni albergava nelle idee dei più fervidi sostenitori di un'Europa unita. Il bisogno di realizzare un'unione monetaria e, quindi, una moneta unica, si era fatto sempre più insistente dagli anni '60 in poi, a causa delle diverse crisi economiche che caratterizzarono quegli anni, a partire dalla svalutazione della sterlina nel 1967. In particolare, per rispondere alle crisi monetarie del novembre 1968 e cercare di supportare le monete in difficoltà, il 12 febbraio 1969, Raymond Barre, Vicepresidente della Commissione con responsabilità speciali sulle questioni monetarie, presentò un piano, un memorandum che prevedeva un meccanismo volto a garantire il coordinamento della politica economica e la cooperazione monetaria nella Comunità [1].
Ai suddetti problemi "interni", si aggiungevano anche quelli derivanti dall'andamento dell'economia americana che, in quegli anni, era sempre più in sofferenza. Infatti, la bilancia dei pagamenti americana evidenziava un forte deficit, cosa che sembrava presaggire una grave crisi economica. Inoltre, tale situazione stava erodendo la credibilità internazionale del dollaro e, conseguentemente, anche quella dei sistemi di tassi di cambio fissi secondo gli accordi di Bretton Woods (il cui abbandono fu sancito "unilateralmente" dall'allora Presidente degl'USA, Nixon, il 15 agosto 1971, con un discorso alla nazione dal titolo "The Challenge of Paece" [2], buttando nel caos il resto del mondo).
Così, a poco a poco, l'idea cominciò a prendere forma. Nel corso del Vertice de L'Aja dell' 1-2 Dicembre 1969, i sei Stati membri decisero di procedere verso la realizzazione di una moneta unica. A tal proposito, fu deciso di istituire una Commissione, sotto la guida di Pierre Werner, al fine di elaborare un piano a tappe per l'attuazione dell'Unione economica e monetaria. Dai lavori della suddetta Commissione, venne elaborato il "Rapporto Werner", presentato al Consiglio europeo l'8 e il 9 giugno 1970. In esso, tra le altre cose si specificava che, "Un'unione monetaria significa, nell'ambito dei suoi confini: la piena e irreversibile convertibilità delle valute dei Paesi aderenti, tassi di cambio irrevocabilmente fissi; l'eliminazione dei margini di fluttuazione intorno a detti tassi di cambio; movimenti di capitali completamente liberi. Infine, a conferma dell'irreversibilità dell'impresa, l'adozione di una moneta unica"[3].
Così, tra difficoltà e sacrifici vari (ricordiamo che l'Italia, per poter essere tra i pionieri dell'euro, si dovette autotassare), dagli 11 Paesi di partenza, siamo arrivati ai 17 attuali. Tuttavia, l'euro, si affaccia al suo decimo compleanno, con una spada di Damocle che pende sulla sua stessa esistenza per una serie di motivazioni. Purtroppo, la crisi greca, scoppiata in tutta la sua gravità nel 2010, non ha fatto altro che evidenziare i punti d’ombra dell’unione monetaria. Infatti, l’euro è risultata essere una valuta “incompiuta”. In pratica, il Trattato di Maastricht ha definito un’unione monetaria ma non un’unione politica. Ciò significa che abbiamo una Banca Centrale comune, ma non un Tesoro comune, cosa che complica non poco la posizione di uno Stato alle prese con un ampio debito pupplico.
In condizioni "normali", il suddetto deficit pubblico può essere finanziato sia attraverso l’emissione di titoli di stato da vendere sul mercato, oppure attraverso il ricorso alla Banca Centrale, che batte nuova moneta. Con il primo tipo d’intervento, nuovo debito si accumula a quello presistente. Nel secondo, l’iniezione di liquidità da parte della Banca Centrale potrebbe portare a spinte inflazionistiche.
Tornando ai Paesi dell'Eurozona, a quest'ultimi è stata preclusa la seconda forma di copertura, in quanto ciò rappresenta un potere che compete unicamente ad uno Stato-nazione. In sostanza, è come se il debito sovrano dei Paesi membri fosse stato emesso in una valuta “straniera”, appunto l’euro. La moneta è unica ma i Titoli di Stato no. Inoltre, la loro impossibilità di stampare moneta, incrementa il rischio di default sui rispettivi debiti. Ciò comporta che i membri dell’UEM hanno più probabilità di default rispetto agli Stati veramente sovrani. A complicare il tutto, si ci sono messi anche gli operatori finanziari o, sarebbe più corretto dire gli speculatori, che hanno cominciato a ri-prezzare il cosiddetto rischio-paese, soprattutto per gli Stati con significativi problemi fiscali. Questo ha alimentato le speculazioni sui titoli, la crescita dei rispettivi spread e il conseguente aumento del costo di rifinanziamento del debito stesso.
Per cercare di salvare l'euro e tutto ciò che questo comporta, i Paesi dell'Eurozona, nello scorso vertice dell'8-9 dicembre, hanno cercato di adottare delle cure (sperando che queste non siano di tipo palliativo, visto che, purtroppo il 2012 si prospetta come un anno cruciale per la sua sopravvivenza, con i più pessimisti che prospettano la deflagrazione dell'area euro,mentre altri parlano di doppia velocita' tra Paesi forti e deboli, di espulsione dei piu' indebitati). E di certo non giova alla salute dell'euro i vari rumors che circolano, come quelli che parlano di una Germania pronta a resuscitare l'amato marco. In alcuni casi, le posizioni sono più eplicite, basti pensare al Wall Street Journal che dalle sue colonne ha parlato di banche centrali nazionali che si preparerebbero al ritorno delle vecchie valute (in cima alla lista, per il quotidiano, l'istituto di Dublino).
E mentre l'euro attende il prossimo vertice il 30 gennaio, tutto il mondo guarda con apprensione ciò che succede a Roma, per capire se l'Italia e' davvero 'too big to fail' od è ormai 'to big to save, collegando le sorti dell'euro e dell'Unione monetaria a quella dell'Italia.
Tuttavia, per sollevarci un po' da questa responsabilità è bene evidenziare le parole pronunciate oggi da Monti, nel corso della sua prima conferenza stampa di fine anno da Presidente del Consiglio, "Non siamo molto vicini alla Grecia, andavamo in direzione sudest, ma abbiamo frenato in quella direzione. Abbiamo ingaggiato poderosi dei che dall'Egeo hanno emesso venti in direzione nordovest, il nordovest rispetto alla Grecia va in direzione di Bruxelles e l'Italia, attraverso le nostre misure, si e' allontanata dalla Grecia".
Monti ha evidenziato che, "Eravamo arrivati sull'orlo del burrone, senza parapetto e con delle forze che ci spingevano alle spalle". Ad attendere il paese, in fondo al burrone, c'erano tanti avvoltoi, ma non siamo caduti, non ci mangiano". Il Premier, inoltre, ha aggiunto, "Abbiamo puntato con forza i piedi, per non cadere. Credo che ci siamo riusciti. Occorre fare uno sforzo per essere in forma e allontanarci da quell'orlo. Abbiamo degli straordinari punti di forza". Ritornando all'Europa, Monti ha voluto sottolineare che, "Il problema dei mercati "e' prima di tutto un problema di carattere europeo, cui deve essere data una risposta comune, solidale e convinta".
Purtroppo, fin tanto che continuerà a persistere questa dicotomia fra unione monetaria e unione politica, l’Unione Europea rimarrà sempre vulnerabile e instabile. Così, per l'euro, questo sarà davvero compleanno dal retrogusto amaro, in attesa (si spera) di tempi migliori in cui poter festeggiare.
Fonti: [1]- Commission memorandum to the Council on the co-ordination of economic policies and monetary co-operation within the Community (12 February 1969), in "Bullettin of the European Communities", March 1969, Supplement 3/69, pp. 3-14.
[2]- Documents on American Foreing Relation, 1971, vol. 30, doc. 142, pp. 577-581.
[3]- Report on the realisation by stages of economic and monetary union (8 October 1970), in "Bulletin of the European Communities", 1970, No Supplement 11/70, pp. 5-29.
Rosy Merola